La prima urgenza è quella di una smentita: riguarda il ricorso al golden power da parte del governo Draghi per fermare il contratto di fornitura tra Fastweb e ZTE, la multinazionale cinese del 5G.
Non è uno stop, spiega a Linkiesta Alessio De Sio, Chief Institutional and Communication Officer di Zte Italia, ma è un «controllo dovuto», conseguenza precisa della legislazione sul tema. «I soggetti sono tenuti a notificare la presidenza del Consiglio eventuali commesse con operatori extra-Ue».
In questo caso si trattava dell’acquisto di attrezzature specifiche per l’installazione del 5G, i Cpe (Customer Premise Equipment). «Per l’esattezza, si tratta della necessità di avere accesso ai codici sorgente – la password delle password – dei nostri apparecchi. Noi non abbiamo nessun problema a farlo, lo forniamo a clienti e stakeholder».
Ma il tema è delicato. Si parla di tecnologia e di multinazionali cinesi e, in casi come questi, finire ad abbracciare visuali geopolitiche è quasi inevitabile. «Eppure noi vorremmo tenerci fuori da queste considerazioni», specifica. «E anche se chiunque è libero, se vuole, di criticare le aziende cinesi, non è giusto farlo con notizie non vere».
Il punto centrale è però questo: «Vogliamo rimanere al di fuori dal dibattito politico maggiore», anche perché l’azienda è cinese, è quotata a Shenzhen e Hong Kong, ma «dietro ci sono 500 dipendenti, tantissimi italiani» che diventano 2000 se si considerano le aziende dell’indotto. «Noi, certo, lavoriamo con colleghi cinesi, l’ad è cinese. Gran parte dei manager però qui sono italiani». E loro vogliono restare in Italia.
«Per noi il golden power è uno strumento sacrosanto di controllo e verifica, lo rispettiamo. L’importante è che non diventi uno strumento politico. Per capirsi, noi diamo la massima importanza alla trasparenza. Siamo stati i primi ad avere la certificazione ISO27701 per un prodotto 5G. I nostri prodotti sono sicuri, in conformità con gli standard per il trattamento dei dati personali. Addirittura, siamo stati premiati da BSI, la società britannica che è tra i fondatori dell’ISO, con un riconoscimento che mette in luce la nostra attenzione per la privacy in tutti i Paesi in cui operiamo».
Per lo stesso motivo a Roma invece è stato fatto un accordo, nel 2020, con il CNIT (Consorzio Nazionale interuniversitario per le Telecomunicazioni). Al centro c’è il Laboratorio di Cyber Sicurezza della multinazionale, il cui compito è testare la vulnerabilità dei prodotti dei clienti, ia hardware che softare. «Il CNIT è chiamato a supervisionare l’attività del laboratorio».
Attraverso il rispetto delle norme, l’obiettivo è smarcarsi dalle questioni geopolitiche. Perché «per noi l’Italia è l’hub più importante in Europa, abbiamo investito mezzo miliardo di euro nel 2020 e adesso ne investiamo un altro nel 2021». Questione di business, dal momento che la tecnologia del 5G in Italia è arrivata da poco e deve svilupparsi in tutte le sue declinazioni.
È un problema. Un ritardo strutturale profondo che – magra consolazione – riguarda anche altri Paesi europei. «Non è un fatto né di capacità né di tecnologie. Credo che sia un fatto di mentalità». In Oriente «si è partiti prima e si ragiona su quello che sarà il mondo in futuro, ci si attrezza di conseguenza. È un discorso che non riguarda solo la Cina, vale anche per il Giappone, dove si investe in treni di altissima velocità».
Serve allora uno scatto in avanti, di mentalità, di prontezza. «Gli ingegneri cinesi cominciano a lavorare prima, ma questo non vuol dire che siano più bravi di quelli italiani». È il contesto che è diverso, «qui i ritardi burocratici e farraginosi diventano un ostacolo alla crescita». Il risultato è che se in Cina si lavora già al 6G, in Italia diventa fondamentale mettersi al passo sul 5G.
Per farlo c’è solo un modo: «Investire. È la chiave per il successo nel mercato, per la sopravvivenza, per rimanere ancorati a un mondo che va sempre più veloce e non aspetta. Vale per tutto: per il business, per i giovani, per gli Stati. È investendo che si ottiene quello scatto in avanti», ormai irrinunciabile, «da cui dipende la ripresa dell’Europa».