La rotta romenaLa difficile gestione dei migranti a Timișoara

Il flusso di ingressi di migranti in Romania nel 2020 è triplicato rispetto al 2019, Nonostante la contea di Timiș sia tra le zone più ricche del paese, le strutture sono insufficienti. Per giunta, molti rifugiati provenienti dai centri nel sud (Bucarest, Giurgiu, Galați), con i documenti già in regola, raggiungono il capoluogo in attesa di ripartire per l’ovest

LaPresse

Romania paese di emigranti, ma non solo. Oggi si confronta con il fenomeno opposto. Le cifre non sono certo quelle dell’Italia o della Grecia, ma tanto basta per suscitare l’allarme di UNHCR, Organizzazione Mondiale della Sanità e Save the Children. Paese di transito dal 2015 per i migranti della rotta balcanica in viaggio verso l’Europa occidentale e centrale, oggi è una tappa quasi obbligata. Ovvero da quando i controlli alla frontiera serbo-ungherese, e soprattutto croata, sono diventati più severi, con respingimenti e  violazioni dei diritti umani in corso dal 2016. Il flusso di ingressi in Romania nel 2020 è triplicato salendo a 6.156 dai 2.626 dell’anno prima, in parte a causa della pandemia. Solo tra gennaio e febbraio di quest’anno gli ingressi al confine occidentale sono stati 1200, la maggior parte da Afganistan, Siria e Iraq.

Perché proprio qui? A Timișoara i migranti restano in attesa di nuovi passeur che faciliteranno loro il transito verso occidente, pagando fino a 15.000 dollari. È emergenza vera: il paese non riesce più a gestire i flussi di coloro che soggiornano temporaneamente sul territorio, complici anche le misure restrittive. A chi proviene dalle “zone gialle” come la Serbia si richiede una quarantena di almeno dieci giorni. Quel che sconcerta è l’alta percentuale di minori (25%), per i due terzi non accompagnati, di cui molto spesso si perde traccia.  Secondo il consorzio giornalistico Lost in Europe, tra il 2018 e il 2020 sono stati 18.292 i minori non accompagnati scomparsi in Europa. Ma sono molti di più, considerando che alcuni paesi, come la Francia e la stessa Romania, non ne registrano la scomparsa.

A febbraio il quotidiano Adevărul definiva la situazione alla frontiera romena «disastrosa», mentre l’UNHCR e l’OMS inviavano una missione a Timișoara e nella contea di Timiș per verificare le condizioni nei centri di accoglienza. Nonostante sia tra le zone più ricche del paese, le strutture sono insufficienti: il Centro regionale per i richiedenti asilo può ospitare solo 50 persone, un altro centro di emergenza 142. Per giunta, molti rifugiati provenienti dai centri nel sud del paese (Bucarest, Giurgiu, Galați), con i documenti già in regola, raggiungono Timișoara in attesa di ripartire per l’ovest. Nel frattempo si rifugiano in edifici abbandonati, vivendo alla buona e in condizioni igienico-sanitarie precarie. La polizia ne scorta molti alla stazione perché tornino nel centro di assegnazione. Se dormono più di tre notti fuori, rischiano di non essere più ricevuti dalla struttura. Ma spesso tornano di nuovo a Timișoara.

Timișoara, storicamente multi-etnica, è l’unica città vicina alla frontiera a trovarsi in questa situazione. La forte presenza della comunità di lingua araba agevola i rifugiati, ma anche le ONG e i volontari che li sfamano e li alloggiano, e le chiese che offrono persino assistenza medica a chi rimane ferito per via del freddo e dei chilometri percorsi. Le autorità locali fanno tutto quello che possono. Lo stato invece non sembra preoccuparsene molto. Lo denuncia il sindaco Dominic Fritz, dell’Alleanza di centro USR-PLUS. «È un problema nazionale e Timișoara non deve essere lasciata sola», lamenta Fritz, cittadino tedesco naturalizzato in Romania, auspicando un approccio umano ma pragmatico e rispettoso delle leggi. «Si tratta di persone senza un tetto, con problemi sociali e sanitari da gestire e noi non abbiamo le risorse. Il nostro municipio è responsabile solo per la quarantena dei migranti che passano il confine serbo. In due settimane ne abbiamo messi in quarantena oltre mille. Secondo la legge i richiedenti asilo ricevono il permesso di soggiorno e il diritto alla libera circolazione per un anno. Vengono alloggiati ovunque nel paese, ma tornano a Timişoara perché questo è un hotspot di partenze». 

Per alcuni, come per la ONG LOGS, questa è la nuova normalità e i richiedenti asilo hanno il diritto di circolare liberamente. Ma l’UNHCR non chiede un trattamento di favore, solo il «rispetto delle regole sulla quarantena in vigore per proteggere la comunità nazionale».  

A farne le spese le vittime più vulnerabili, bambini e adolescenti. Per Save the Children, i centri di accoglienza di Timișoara sono sprovvisti di luoghi sicuri per loro. Spesso, le lacune nei servizi di identificazione e protezione li vedono finire in strada e nelle stazioni. Il sostegno delle ONG non basta. Da qui l’appello alle autorità romene perché garantiscano un’accoglienza di qualità per i minori soli, le famiglie e altre categorie a rischio. Un altro problema sono le discriminazioni, le molestie e i reati a danno di rifugiati e migranti, secondo l’UNHCR quasi mai denunciati, a causa della paura, della scarsa informazione o dell’inadeguatezza dei servizi di sostegno alle vittime. 

Nisreen Rubaian, esponente dell’agenzia ONU, riconosce che «la Romania non ha chiuso le porte» ai rifugiati. Ma serve un piano «coerente e coordinato tra governo locale e nazionale», investendo di più nelle strutture d’accoglienza, come nell’informazione e comunicazione con i rifugiati. «Temiamo che venga compromesso lo status stesso di rifugiato». La soluzione è creare dei corridoi legali, attraverso reinsediamenti nei paesi in cui i richiedenti asilo vogliono stabilirsi. Reinsediamenti che a oggi, per via delle quote ridotte proposte dagli stati, sono troppo pochi (22.770 su un milione e mezzo di rifugiati). 

L’appello del sindaco di Timișoara non è rimasto inascoltato. Lo stato romeno, con il ministro dell’interno Bode e i segretari di stato Despescu (Questore capo di Polizia) e Arafat, ha promesso di riportare nei centri di assegnazione i richiedenti asilo che continuano a tornare a Timișoara. Come deterrenti, droni, telecamere a termovisione e, se necessario, sanzioni. La Direzione di investigazione dei reati di criminalità organizzata e terrorismo ha già intensificato la lotta alle reti del traffico di migranti, con buoni risultati.

Grazie a Dominic Fritz, è inoltre all’esame del Senato una richiesta per modificare la normativa sulla copertura dei costi dell’immigrazione e per l’utilizzo dei centri rifugiati, che attualmente impedisce il coordinamento tra enti locali e governo centrale. Il Consiglio dei ministri ha di recente deciso di assegnare alla polizia di frontiera di Timișoara nuovi strumenti per lo smistamento anti-COVID dei migranti. 

La questione migratoria non sembra destare molto l’attenzione della politica romena, se non di quella locale. Di recente, lo stesso primo cittadino di Timisoara si è scontrato con il presidente del Consiglio della contea Alin Nica, esponente del Partito nazional-liberale ed ex sindaco, che lo accusa di non aver fatto nulla per diminuire il tasso di contagio da Covid-19. Fritz si è difeso citando, tra le varie misure prese, la quarantena di 1200 richiedenti asilo, e accusando a sua volta Nica di non aver mai dato vita al centro rifugiati regionale che aveva promesso. 

Sui migranti in generale, pur non essendo il popolo romeno tradizionalmente razzista, l’opinione pubblica negli ultimi anni è influenzata da formazioni nazionaliste come il partito AUR, impostosi alle ultime elezioni con il 9% dei consensi, grazie a una propaganda impostata sui principi di nazione, famiglia, libertà e fede. Nei media al momento fa più notizia la questione migratoria tra Stati Uniti e Messico, o la situazione di altri paesi europei vicini, con poche eccezioni. La pandemia e il suo impatto sulla politica interna sembrano occupare quasi interamente le testate nazionali. Ma è solo questione di tempo.

 

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