Una soluzione di compromesso. Simbolica, con dimensioni ridotte, ma presente. È questa l’ultima ipotesi per salvare il Salone del mobile di Milano, su cui sembra che si stia trovando una convergenza nelle riunioni del Cda che va avanti, con qualche interruzione, da venerdì scorso.
Una edizione mini, insomma, che potrebbe coinvolgere anche altri soggetti come la Triennale e Associazione per il Disegno Industriale (hanno già dato la loro disponibilità, come ricorda Repubblica), che potrebbe affidarsi a qualche nome di prestigio per fare da richiamo e che, pur di salvare l’immagine del design italiano, è disposta a rinunciare a qualche introito.
La decisione definitiva non è ancora arrivata, mentre il Cda è spaccato: molti preferiscono rinviare ad aprile 2022 visto il clima di incertezza dettato dalla pandemia, le difficoltà a mettere in piedi la macchina organizzativa e soprattutto la mancanza di ritorni economici adeguati (considerata la probabile assenza di buyer stranieri, il 70% del totale). Nella passata riunione del Consiglio di presidenza di Assarredo, una delle due gambe di Federlegno, in 30 hanno votato no.
Altri invece pensano a una versione leggera – in realtà ancora da inventare – con numeri limitati e poche esposizioni compensate da una forte presenza online. È un’idea nata da una certezza: se non si fa nulla l’appuntamento di Milano, programmato per il 5-10 settembre, salterà. Sarebbe il secondo anno di fila.
Troppo, secondo il presidente del Salone del Mobile Claudio Luti (di Kartell), che il 22 aprile ha rassegnato le dimissioni. «Rispetto le decisioni di tutti ma non condivido la volontà di non fare squadra in un momento così delicato», scriveva nel comunicato di dimissioni. Quello che è venuto a mancare, sottolinea, «è la comune volontà di intenti».
A sostenerlo si sono aggiunti gli esponenti della politica e del settore industriale, che hanno sottolineato l’impatto di una decisione simile per l’immagine e l’economia di Milano (nel 2019 la fiera aveva portato 350 milioni di euro di indotto, con 400mila visitatori) Assolombarda, tramite il presidente Alessandro Spada, ha chiamato un tavolo di confronto, aperto alle imprese e alle istituzioni, «per trovare nuove soluzioni condivise e dare una risposta corale alla nostra città».
Non solo: il ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti ha ricordato che la Fiera è un appuntamento «che rappresenta l’Italia nel mondo», impegnandosi in quanto rappresentante del governo per «fornire altri elementi di garanzia che favoriscano l’inaugurazione e lo svolgimento della manifestazione» e il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha sottolineato la disponibilità del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a partecipare alla manifestazione e ha ricordato che «anche altre categorie hanno bisogno di lavorare e che è in questi momenti che le comunità si stringono».
Anche perché altre città europee, aggiunge, «potrebbero approfittare di queste nostre difficoltà». L’importante insomma è che il Salone si faccia, «al meglio». Non sarà possibile replicare le modalità degli anni passati, riconosce, ma deve esserci.
Del resto il rischio di vedersi sopravanzare dai concorrenti stranieri è concreto: Colonia ha già lanciato la sua «Opa ostile» sul mobile europeo, dichiarando che la sua Koelnmesse di gennaio 2022 sarà quella della ripartenza.
Nella confusione, però, si affaccia una buona notizia: è stata ribadita invece la conferma da parte degli organizzatori del Fuorisalone, la festa diffusa parallela all’evento che si snoda per le strade e i quartieri di Milano. All’appuntamento di settembre, loro ci saranno: Salone o no, light o meno.
Anche perché la Fiera e tutto ciò che la circonda non è una semplice esposizione, ma un sistema di incontri, relazioni, occasioni e festeggiamenti che coinvolge tutta la città, comprese le categorie della ristorazione. Che sono, va ricordato, tra le più colpite dalla pandemia.