Alla nascita del Governo Draghi, Emma Bonino fu molto chiara in Direzione nazionale di Più Europa e in quella di Radicali Italiani: dobbiamo aiutare il Governo a produrre il miglior Next Generation EU possibile. Mi sono subito chiesto cosa potessi fare da consigliere regionale lombardo a tal proposito. Alla risposta più ovvia “non posso fare nulla, questa cosa passa ben sopra la mia testa”, ho ritenuto invece di scommettere il possibile contro il probabile: sono medico di terapia intensiva neonatale, da tre anni analizzo quotidianamente a tempo pieno le politiche sanitarie lombarde, ed avevo già studiato la bozza del piano sanità di gennaio, prodotta dal governo Conte II. Essa conteneva ottime linee di indirizzo generali, ma con alcuni errori pericolosi, cui porre rimedio. I due capitoli di investimento riguardavano il potenziamento della medicina territoriale (case della salute, assistenza domiciliare-ADI e Ospedali di comunità) e Innovazione, ricerca e digitalizzazione del sistema sanitario.
Le Case della salute
A partire da quelle poche che esistono, rappresentano l’evoluzione del servizio attualmente offerto dal medico di medicina generale, che lavora da solo nel suo studio, luogo in cui è il pontefice massimo. Nelle case della salute questi medici lavorano in forma aggregata, confrontandosi e restando aperti per più ore al giorno e più giorni a settimana. Funzionano se hanno in numero congruo, medici di medicina generale, infermieri, assistenti sociali (la vera integrazione socio sanitaria può esistere solo se ci sono gli assistenti sociali), segretari e specialisti ospedalieri che lì si recano una volta ogni tot giorni. Immaginate di andare dal vostro medico e che abbiate bisogno del cardiologo: oggi uscite con in mano una ricetta rossa ed iniziate un lungo percorso telefonico di prenotazione, che spesso esita nella scelta di affidarvi al privato. Nella casa di salute il vostro medico vi dice: “il 15 del mese, il cardiologo viene qui. Lei si presenti alle 10 e facciamo la visita”.
I limiti della bozza del Conte 2 erano innanzitutto nella suddivisione delle voci di costo: infrastruttura ed equipaggiamento. Manca il budget di avvio sulle risorse umane. La rivoluzione delle case della salute si basa sul concetto che i medici di medicina generale siano incentivati a smettere di lavorare da soli. Gli studi CERGAS Bocconi analizzano la tendenza a lavorare in forma aggregata. Le regioni che meglio hanno performato, hanno convinto i medici ad aggregarsi, incentivandoli con partecipazioni alla spesa di assunzione del personale ausiliario. Anche la Corte dei Conti in audizione alla commissione sanità della Camera segnalava la mancanza di investimento sulle risorse umane.
L’altro limite della bozza era nel numero di case della salute previste, davvero troppe: 2,575, 1 ogni 23,400 abitanti. Il professor Giuseppe Remuzzi, nella sua relazione sulla riforma della legge 23 in Lombardia, consiglia una casa della salute per 60,000 cittadini (una per ogni distretto sanitario), l’Emilia Romagna ne prevede 1 ogni 37,500 abitanti. È facile prevedere che troppe case saranno poi difficili da riempire delle risorse umane necessarie a renderle efficaci, polverizzando il personale sanitario della medicina del territorio. Serve invece una massa critica di personale per ogni casa di salute, in modo da farla diventare davvero un luogo di integrazione multidisciplinare di servizi. I soldi risparmiati dalla costruzione di meno case devono essere investiti per creare le condizioni vantaggiose per i sanitari che scelgano di lavorare in forma aggregata.
Assistenza Domiciliare Integrata
L’investimento del Conte 2 andava nella giusta direzione, ma ADI funziona se è integrata nelle case della salute, per lavorare in sinergia, con équipe che si muovono come in vasi comunicanti. L’infermiere che visita l’anziano a casa potrebbe essere lo stesso che il paziente ritrova quando si reca in casa della salute. Le case della salute devono avere gli spazi per ospitare ADI. Invece la bozza di gennaio proponeva di realizzare 575 strutture ADI, non nelle case di salute, ma dentro le ASL. Ciò va contro il concetto di integrazione della medicina di territorio. Se avessimo distretti da 60.000 abitanti e una casa della salute con centro ADI integrato per ogni distretto, questo costituirebbe il modello di integrazione dei servizi di territorio (salvo le zone con difficoltà orografica e a bassa densità abitativa, dove hanno senso forme di aggregazione più piccole fino ad arrivare, nel paesino isolato, al mantenimento del singolo studio medico). Anche per ADI i soldi risparmiati dalla non realizzazione di strutture ad hoc (ospitate dentro le case di salute) possono essere impiegati per fare formazione e per favorire in maniera economica i sanitari che scelgano di lavorare sul territorio, oggi considerati professionisti di serie B rispetto ai colleghi ospedalieri.
I Community Hospitals
Sono strutture di ricovero a bassa intensità di cura. Privi di grande tecnologia, li governa l’infermiere, i medici vengono a fare consulenza e sono i luoghi ideali per il ricovero di un paziente fragile che non è a rischio di vita, o per il trasferimento dall’ospedale di un paziente che è quasi pronto, ma non ancora completamente pronto per tornare a casa. I Community Hospital riducono l’intasamento in ospedale, che torna ad essere un luogo di ricovero per acuti e costano poco senza ridurre la qualità di cura. Ancora una volta, la bozza del Conte 2 ha il pregio di investire in queste strutture, ma ne prevede troppe, con il rischio concreto di non trovare il personale che ci lavori: ne erano previste 753, una ogni 80,000 abitanti. Le attuali esperienze di tanti concorsi pubblici per sanitari, che vanno deserti, devono insegnarci qualcosa, ed il rispetto del DM70 impone di legare la qualità delle prestazione alla quantità (grossi reparti allenano meglio il personale in tutte le procedure, perché se ne fanno di più e si è meno spesso soli. Ciò contribuisce ad una qualità di cura migliore). Seguendo il modello del distretto di 60,000 abitanti, pare coerente avere un Community Hospital ogni due distretti, uno ogni 120,000 abitanti, circa 500 sul territorio nazionale. Con questa “modularità” si favorisce l’integrazione dei servizi (due case della salute-ADI lavorano con un community hospital e alcuni sanitari di casa della salute fanno turni nel community hospital e viceversa). Ciò genera anche una più facile comprensione per i cittadini (e anche per gli operatori) delle strutture sanitarie di territorio. Se vivo in un dato paese, so qual è la mia casa della salute, qual è il mio community hospital, e che i due collaborano tra loro.
Anche il Capitolo 2 della bozza Conte “Innovazione, ricerca e digitalizzazione” andava nella giusta direzione, ma pareva una occasione mancata: non si specificava che i software su cui investiremo molti miliardi, dovranno essere uguali in tutta Italia, o quantomeno interoperabili sia per la telemedicina, che per la cartella clinica elettronica dei reparti, che per il fascicolo sanitario elettronico, in maniera da essere tra loro integrati ed in comunicazione. Inoltre in tal modo, i BIG data di 60 milioni di personale saranno facilmente raccoglibili e studiabili dal sistema pubblico, a beneficio esclusivo della salute dei cittadini italiani.
Questa analisi ha portato il gruppo Più Europa /Radicali a presentare un documento politico (ordine del giorno) in aula del Consiglio regionale della Lombardia durante la sessione europea, dove il sottosegretario Marco Alparone (Forza Italia), che ha delega ai rapporti con la UE, ed essendo stato sindaco ben conosce la medicina sul territorio, ha dato parere favorevole: il documento è stato approvato. Il percorso di avvicinamento all’orecchio del Presidente Draghi è ancora lungo ed impervio, ma quel contenuto ha smesso di essere una analisi di un singolo ed è diventata un pronunciamento d’aula. Nelle settimane successive ho iniziato una interlocuzione con tutti i parlamentari membri di commissione sanità che riesco a raggiungere. I più proficui sono stati al Senato con Matteo Richetti di Azione ed alla Camera con Doriana Sarli (ex 5 stelle): quell’ordine del giorno, approvato dalla Lombardia ha iniziato a circolare come ha potuto e più che ha potuto nelle commissioni sanità di Camera e Senato, che dovevano dare un parere alla Bozza Conte 2. Questo pressing dal basso è continuato pure in Consiglio regionale, dove ho presentato una mozione (un atto di indirizzo politico, più importante di un ordine del giorno). Durante il dibattito in aula, è avvenuto ciò che non mi aspettavo: la vicepresidente Moratti si è alzata dal suo banco e ha raggiunto il mio. Ritengo di poter riferire questa interlocuzione privata in cui Letizia Moratti mi ha comunicato che avrebbe dato parere favorevole alla mozione, i cui contenuti aveva mostrato ad un importante ministro non politico del Governo.
Giovedì scorso ho potuto leggere il capitolo sanità del Next Generation EU, versione che il presidente Draghi ha presentato al Parlamento il 26 e 27 Aprile:
1) Case della salute: da 2,575 case della salute si passa a 1,288. Da una ogni 24,400 ad 1 ogni 46,000 abitanti.
2) Ospedali di Comunità: vengono definiti gli standard dei posti letto per ogni ospedale: da 20 a 40, e tali strutture passano da 753 a 380, da una ogni 80,000 a una ogni 158,000.
L’elemento di debolezza che permane è la non modularità dei tre livelli di assistenza sul territorio, che invece devono essere interconnessi e lavorare insieme, con équipe integrate.
Riguardo a Innovazione, Ricerca e Digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, si stabilisce la vocazione nazionale per il Fascicolo Sanitario Elettronico e la sua integrazione con la tessera sanitaria. Manca ancora una specifica menzione alla cartella clinica elettronica nei reparti, che rischia di rimanere a macchia di leopardo e senza interoperabilità tra i reparti di un ospedale, tra ospedali e con il FSE. Unico accenno in quest’area di intervento il potenziamento del livello di digitalizzazione di 280 strutture sanitarie sede di Dipartimenti di emergenza e accettazione (DEA) di I e II livello. Non vi è alcuna menzione ai software di prenotazione visite ed esami, che rischia di rimanere senza interoperabilità all’interno della stessa regione, così come tra le varie regioni.
Infine, sulla tecnologia l’investimento prevede l’ammodernamento digitale del parco tecnologico ospedaliero con l’acquisto di 3.133 nuove grandi apparecchiature ad alto contenuto tecnologico (TAC, risonanze magnetiche, Acceleratori Lineari, Sistema Radiologico Fisso, Angiografi, Gamma Camera, Gamma Camera/TAC, Mammografi, Ecotomografi) caratterizzate da una vetustà maggiore di 5 anni. L’unico criterio pare la vetustà dei macchinari, unico parametro i 5 anni di invecchiamento anche per macchinari molto diversi tra loro. Il documento non coglie la opportunità di usare il Next Generation Eu per valutare il fabbisogno di macchinari, né se per ognuno di essi ce ne siano troppi o troppo pochi. Il processo di sostituzione inizierà al termine della valutazione puntuale del fabbisogno, già avviata dal Ministero della Salute, che dovrà essere ultimata entro il terzo trimestre del 2021. Su questo processo in corso vale davvero la pena di vigilare, interloquire e proporre. Anche Il Sole 24 Ore ha segnalato che le modifiche del capitolo Sanità del Next Generation Eu da Conte a Draghi vanno nella direzione auspicata dai documenti approvati nel Consiglio regionale Lombardo.
Ho scritto questo lungo articolo anche perché il 27 Aprile, trovandomi al tribunale di Arezzo a sostegno del cittadino Walter De Benedetto, parlando con un deputato lì presente, ho provato rabbia nel sentirgli dire che tanto i singoli parlamentari non contano nulla e non toccano palla. Non saprò mai se alcune delle modifiche importanti contenute nel capitolo Sanità del Next Generation Eu siano avvenute (quand’anche in minima parte) grazie al lavoro del gruppo che presiedo in Regione, ma il messaggio che provo ad inviare, per il rispetto che si deve ai cittadini, ai consiglieri regionali, parlamentari e alla classe dirigente politica e partitica è quello di provare ad incidere dal basso nelle cose su cui si ha competenza: non vale dire “non ci posso fare nulla”. Anche se vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti.
Di Michele Usuelli, consigliere regionale di Più Europa/Radicali in Lombardia