D’ora in avanti ogni partita potrebbe essere l’ultima sulla panchina della Germania per Joachim Löw. Il ct ha già annunciato il suo addio alla Nazionale tedesca al termine di Euro 2020, quando sarà sostituito dall’ex allenatore del Bayern Monaco, Hansi Flick.
Dopo un mandato di 15 anni Löw lascerà un’eredità enorme e pesante. Oggi è l’allenatore più longevo sulla panchina di una Nazionale, ha portato in bacheca la Coppa del Mondo del 2014, ha fatto esordire più di cento giocatori. Ma il suo addio sembra sempre più necessario per una squadra che negli ultimi anni ha perso quell’aura da superpotenza del calcio mondiale che l’aveva accompagnata a lungo.
La Germania non sembra più in grado di aggiornarsi, non più di tanto, non sotto la guida di Jogi – come è soprannominato il ct. La squadra vista a Euro 2020, almeno nelle prime tre partite, sembra un prodotto non ancora finito, a metà strada tra un passato ancora non superato e un presente incerto.
Dopo il flop dei Mondiali di Russia 2018, chiusi all’ultimo posto nel girone, la federcalcio tedesca e il ct avevano concordato l’avvio di una rivoluzione interna: alcuni veterani avevano lasciato la Nazionale, altri sono stati esclusi – come Boateng, Müller, Hummels – per fare spazio alle nuove leve.
Solo che il percorso degli ultimi tre anni è stato a dir poco altalenante: il tabellino dice 27 partite giocate, 14 vittorie, 8 pareggi, 5 sconfitte. Con segnali preoccupanti che arrivavano periodicamente dal campo: a novembre il 6-0 contro la Spagna in Nations League, a marzo quel 1-2 in casa contro la piccola Macedonia del Nord, la terza sconfitta della Germania nelle qualificazioni ai Mondiali.
La squadra convocata da Löw è una strana ibridazione tra quello che avrebbe dovuto essere e quello che era prima: Muller e Hummels sono stati richiamati per dare supporto in termini di esperienza e tecnica a chi dovrebbe rappresentare il presente e il futuro della Mannschaft, quindi Gosens, Kimmich, Rudiger, Gnabry. Il fatto che quattro giocatori della rosa di Löw non abbiano giocato mai giocato, nemmeno un minuto, negli ultimi tre anni suggerisce quanto sia andata male la programmazione della Nazionale.
Il 2018 per la Germania è una cesura storica che non si può ignorare. Quel tonfo clamoroso ai Mondiali aveva costretto tutti a guardarsi indietro. Löw per primo. Il suo regno è iniziato all’ombra della breve gestione Klinsmann, nelle vesti del cerebrale vice alle spalle di uno dei volti noti del calcio tedesco.
Dopo la sconfitta in semifinale ai Mondiali 2006 contro l’Italia, la federazione aveva affidato proprio a Löw le redini. In quel momento il calcio tedesco aveva iniziato da poco una fase di aggiornamento radicale: all’inizio del nuovo secolo sono stati rifondati i programmi di sviluppo giovanile, a partire dalle 336 scuole calcio federali diffuse su tutto il territorio, per seguire circa 600mila ragazzi all’anno, visionati con una capillare operazione di scouting da un migliaio di osservatori.
La transizione avrebbe richiesto tempi lunghi, ma il ct della Nazionale ha saputo rappresentare un pilastro per tutta la federazione, un elemento di continuità mentre lo scenario mutava. Löw è stato una costante nello sviluppo della nuova scuola calcistica tedesca, ha saputo adattarsi alle evoluzioni del calcio e alle novità tattiche della Budesliga.
Come un alchimista esperto, Löw ha sempre saputo mescolare parti diverse tra loro per costruire una Nazionale organica. Ha saputo intercettare la rivoluzione portata da Guardiola al Bayern Monaco nel 2013, disegnando la sua Nazionale su un gioco simile a quello del tecnico catalano. Certo, è stato aiutato anche da un livello medio molto alto dei talenti a disposizione, ma nei primi 5 grandi tornei disputati da ct ha sempre portato la Nazionale almeno in semifinale, vincendo i Mondiali nel 2014. In più, ci sarebbe anche una vittoria in Confederations Cup nel 2017.
Dopo il grande trionfo Mondiale, però, qualcosa potrebbe essersi rotto. Non basta dire che la Germania non ha vinto gli Europei e i Mondiali successivi (raramente le Nazionali riescono a inanellare grandi trionfi in serie). Ma sembra che il regno di Löw sia semplicemente durato troppo.
La scuola di allenatori tedesca si è sviluppata moltissimo negli ultimi 10-12 anni, ha prodotto una gran quantità di tecnici di alto livello che avrebbero potuto sostituire il ct qualche anno fa. Non è un caso che gli ultimi tre vincitori della Champions League siano tre allenatori tedeschi – Jürgen Klopp, Hansi Flick, Thomas Tüchel – e nell’estate del 2020 alle semifinali di Champions ben tre allenatori su quattro erano nati in Germania.
Se Löw ha rappresentato una certezza nella fase di transizione del calcio tedesco, oggi sembra superato da molti colleghi, che adesso dominano il calcio europeo. «Joachim Löw è diventato il problema che il calcio tedesco non può più ignorare. Ha portato la Germania al titolo mondiale nel 2014, ma il gioco è andato ancora avanti. In linea di massima, la scuola di pressing tedesca è diventata predominante in Europa, ha superato il modello spagnolo basato sul possesso», aveva scritto Jonathan Wilson su Sports Illustrated dopo la sconfitta per 6-0 contro la Spagna dello scorso novembre.
Tra le squadre favorite per arrivare fino in fondo a questi Europei, la Germania è quella che si trascina dietro più dubbi. L’addio di Löw – e di alcuni veterani, tra questi anche Toni Kroos – restituisce un senso da Last Dance che rende impossibile decifrare la Nazionale tedesca.
Lo stesso girone è stato a dir poco interlocutorio: l’unica prestazione davvero “da Germania” è arrivata nella vittoria per 4-2 sul Portogallo, ma con il senno di poi quella partita potrebbe essere considerata come un lampo, un flash improvviso che ha illuminato un girone abbastanza incolore dei tedeschi – aperto con la sconfitta contro la Francia e chiuso con il pareggio dell’ultima giornata con l’Ungheria.
A sei minuti dalla fine la qualificazione stava sfumando, poi dopo il tiro di Goretzka è improvvisamente diventata realtà, con il secondo posto che ha messo la Germania nella metà teoricamente più comoda del tabellone. Ma prima ci sono gli ottavi, c’è l’Inghilterra, un’altra potenziale candidata al titolo. La Germania vuole far valere il suo status di superpotenza del calcio europeo, e per farlo dovrà prolungare il più possibile l’ultimo ballo del suo allenatore.