Il dato è degno di nota. Per una volta, man mano che si avvicina la data cui la stima fa riferimento, le previsioni economiche riguardanti l’Italia migliorano invece di peggiorare.
Si tratta in particolare della crescita del Pil prevista per quest’anno e soprattutto l’anno prossimo.
La Commissione europea in autunno credeva a un recupero del 4,1% nel 2021 e del 2,8% il 2022.
Ora per il 2022 la stima è di una crescita del 4,4%. Un miglioramento netto, dell’1,6%, che è chiaramente dovuto alla previsione di un’uscita completa dalla pandemia e ai primi effetti positivi dei fondi del Next Generation Eu.
E sebbene tutti gli aumenti del Pil dei Paesi dell’Unione siano stati rivisti al rialzo sono soprattutto quelli di Italia e Spagna a godere degli incrementi maggiori. Guarda caso i Paesi che più hanno sofferto il crollo del 2020 e che di conseguenza sono anche i principali beneficiari dei fondi europei.
Per una volta tra l’altro la crescita italiana sarà esattamente in linea con quella media europea, e addirittura superiore a quella tedesca. Se tali numeri supereranno l’esame della realtà dei fatti rappresenteranno un’importante novità per l’economia del nostro Paese.
A determinare il Pil e il suo aumento però sono diversi fattori, vi è la domanda, pubblica o privata, o estera, e gli investimenti. Il differente modo in cui questi contribuiscono determina la qualità della crescita.
Nel caso italiano l’andamento generale della domanda interna è, dopo anni, in linea con quello europeo – dopo avere subito un crollo molto maggiore della media nel 2020 ed essere stato già negativo nel 2019.
E tuttavia non è tanto la domanda interna a guidare la crescita, e neanche la sua componente più importante, i consumi privati, che cresceranno nel 2022 più del Pil, ma meno di quanto accada negli altri Paesi.
L’anno prossimo aumenteranno del 4,9% secondo la Commissione europea, ma si tratterà di un dato deludente rispetto al +7,3% della Germania (che recupererà un 2021 molto deludente) al +5,8% spagnolo, al +5,6% francese e al +5,9% medio.
Da questo lato si conferma il gap con il resto d’Europa. Che del resto trova conferma nell’andamento dell’occupazione, dei salari, della produttività del lavoro.
La prima aumenterà del 0,9%, meno della media, come avvenuto sostanzialmente sempre negli anni scorsi, mentre i salari reali cresceranno in termini reali pro capite del 0,8%, contro un + 1,2% europeo e un +1,5% tedesco per esempio.
Questo anche a causa di un incremento della produttività del lavoro che l’anno prossimo sarà del 2,1%, un dato positivo se confrontato con quello degli ultimi anni, ma inferiore a quello registrato altrove, per esempio al +4,7% spagnolo. E che verrà dopo un calo dell’1,1% quest’anno.
La ragione è che vi sarà nel 2021 e del 2022 un rimbalzo del numero di occupati equivalenti a tempo pieno per la fine della cassa integrazione, quella stessa Cassa integrazione che invece nel 2020 aveva invece fatto crollare tale numero più del Pil stesso facendo risultare un assolutamente anomalo ed eccezionale miglioramento della produttività.
Tecnicismi a parte, il succo è che la crescita del Pil non riuscirà ad essere molto maggiore di quella dell’occupazione, perché ogni lavoratore e ogni ora lavorata non sarà molto più produttivo di quanto lo sia oggi. Al contrario di ciò che accadrà altrove, nella solita Germania o in Spagna, per molti versi più simile a noi, dove i consumi, trainati dai salari, a loro volta appunto spinti dalla maggiore produttività sono molto più determinanti nel fare crescere di più il Pil.
Da cosa quindi sarà soprattutto spinta la nostra crescita?
In parte dalle esportazioni, che si riprenderanno, e che aumenteranno quest’anno del 10,4% e l’anno prossimo del 7,9%, più della media europea dell’8,7% e 6,5%, ma anche le importazioni saliranno di più, addirittura dell’11,5% e dell’8,7%. Tanto che il miglioramento del saldo di conto corrente in realtà non sarà maggiore di quello generale.
A fare la differenza saranno in realtà gli investimenti. E qui ci sarà la vera discontinuità con quello che è accaduto negli anni scorsi. Gli investimenti complessivi saliranno del 9,9% quest’anno e dell’8,4% nel 2022. Contro una crescita media europea del 6,2% e del 5,4%.
Solo in Spagna l’anno prossimo si scorgono numeri maggiori.
E in particolare a spiccare sono gli investimenti in edilizia, che nel 2022 saranno dell’8,9% più alti che nel 2021.
È interessante qui il confronto con la Germania, dove invece quest’anno non saliranno per nulla e l’anno prossimo aumenteranno solo del 3%.
È evidente che il catching up rispetto al resto d’Europa è dovuto a una spinta che riceviamo dal settore pubblico, e in particolare questa volta anche del settore pubblico europeo, che finanzia un programma di investimenti che almeno nei primi anni, come è evidente anche dal Pnrr presentato dal Governo italiano, beneficerà soprattutto il settore dell’edilizia, attraverso per esempio misure come il rinnovo del Superbonus.
Si tratta di una ripresa assistita, più simile a quella del Dopoguerra che a quella più recente degli anni successivi al 2013.
L’intervento pubblico compensa le carenze della nostra economia, che rimangono, una produttività limitata che causa una domanda e dei consumi inferiori a quelli dei Paesi vicini.
Che si tratti di una crescita un po’ “artificiale”, aiutata, non è in realtà un male di per sé.
È come una spinta che viene data a un’auto il cui motore è fragile e fatica a ripartire: è indispensabile che questo avvenga. Ed è normale che prima dell’impatto sull’occupazione, sugli stipendi, sulla produttività, vi sia quello sui settori che più direttamente sono interessati dagli investimenti pubblici.
Il punto fondamentale è che poi i dividendi di tale crescita si possano spandere al resto dell’economia, generando finalmente l’aumento del numero degli occupati, e soprattutto di occupati in lavori produttivi e remunerativi. Così da essere loro, finito lo stimolo straordinario del Next Generation Eu, a generare crescita attraverso la domanda, come avviene nel resto d’Europa.
Perché lo stimolo, interno ed esterno, dovrà finire, ce lo impongono i dati sul deficit, che nel 2022 sarà del 5,8%, per la prima volta da tanto tempo superiore a quello spagnolo e francese. Era solo dell’1,6% nel 2019. E quelli sul saldo primario, che continuerà a essere negativo, dopo essere stato positivo quasi sempre dal 1991 in poi.
Ma questa volta forse, se le speranze del Recovery Fund non si riveleranno vane, ne sarà valsa la pena.