Un problema che va avanti da diversi decenni e continua a riguardare soprattutto le zone umide, importanti e fragili tasselli del ciclo idrogeologico che fornisce acqua potabile.
Sul banco degli imputati c’è il piombo, metallo tossico e inquinante il cui impiego, proprio per queste sue peculiarità, è stato bandito in molti beni di consumo: dalla benzina, ai solventi, alle condotte idrauliche. Fanno però eccezione le munizioni.
Ancora oggi, infatti, questo metallo è intensamente utilizzato nei pallini utilizzati per attività venatorie, rendendo in questo modo la caccia una importante fonte di inquinamento, e quindi di minaccia per flora e fauna (noi inclusi), che sfugge a qualunque normativa o regolamento.
«Il problema è più grave nelle zone umide perché sono più ristrette e soggette all’accumulo dei pallini tossici – ha spiegato a Linkiesta Gianluca Catullo, responsabile specie e habitat Wwf – Sono anni che si cerca di bloccare l’utilizzo del metallo tossico, perlomeno in queste aree così fragili. Sono sufficienti 2-3 pallini ingeriti da un’anatra per decretarne la morte. Questi animali li trovano sul fondo dei bacini d’acqua, nel momento in cui vanno a ricercare le alghe».
Si tratta di un problema che riguarda anche specie terrestri a rischio di estinzione, come le aquile reali e i gipeti, piuttosto longeve e che prima di procreare attendono diversi anni. Per questo motivo, sono più predisposte ad accumulare nel proprio organismo il metallo. Con effetti drammatici che spaziano dall’intossicazione fino alla morte per saturnismo acuto e cronico.
L’impiego del piombo nelle munizioni rappresenta un grave e diretto problema per la biodiversità: è il caso anche dei grossi rapaci, che integrano la loro dieta con animali già morti e spesso contaminati dal metallo tossico. Lo conferma un recente studio, promosso dal Parco Nazionale dello Stelvio e dalla Provincia di Sondrio, in collaborazione con ISPRA e con l’Istituto Zooprofilattico della Lombardia e dell’Emilia-Romagna, realizzato su un campione di 252 aquile reali e avvoltoi raccolti feriti o morti in un’ampia area dell’Europa centro meridionale, estesa dai Pirenei all’Appennino. I risultati attestano che più di un quarto degli animali aveva nei tessuti concentrazioni di piombo indicative di avvelenamento acuto (26%, 66 individui).
Dati che confermano quanto sintetizzato nel report WWF “Cartucce Avvelenate”, che denunciava la pericolosità di questo materiale se disperso nell’ambiente o ingerito da molte specie animali.
Per questo, ad ottobre 2020 l’Europa ha messo al bando l’utilizzo delle munizioni al piombo in tutte le zone umide del continente, dove questo metallo causa elevata mortalità.
Come spiega Catullo, gli strumenti normativi deputati a risolvere il problema non mancano: l’accordo internazionale sulla conservazione degli uccelli acquatici migratori dell’Africa-Eurasia (Aewa), aveva suggerito di bandire l’uso del piombo nell’attività venatoria condotta nelle zone umide entro il 2000: «Sebbene ratificato dall’Italia nel 2006, non si è fatto granché». Poi, ancora, la Convenzione di Bonn sulle specie migratorie terrestri (Cms) che durante la COP del 2014 ha proposto il bando del metallo tossico da tutte le munizioni utilizzate a fine venatorio da attuare entro il 2017: «Anche in questo caso ci troviamo davanti a una convenzione che fornisce indicazioni disattese dall’Italia».
Ora l’Europa ha dato l’incarico all’Agenzia Chimica Europea (ECHA) di raccogliere il parere dei cittadini sulla restrizione all’uso del piombo nelle munizioni da caccia sull’intero territorio dell’Unione. C’è tempo fino al 24 settembre per esprimere il proprio parere al riguardo.
Tuttavia, qualcosa si muove anche in un Paese come il nostro, caratterizzato da una importante frammentazione amministrativa. «Come caso virtuoso penso ad esempio alla regione Piemonte». Proprio in queste settimane, il divieto discusso nella provincia di Sondrio, prima provincia italiana e probabilmente europea, che ha messo in forte evidenza la problematica bandendo (se pur parzialmente) già dal 2011 l’uso del piombo dalle munizioni per gli ungulati.
In pochi giorni una petizione online per imporre il bando del piombo dalle munizioni da caccia ha già raccolto quasi 5000 firme. Anche il Wwf ha deciso di aderire all’iniziativa: «Non ci siamo solo noi ma anche Lipu e tutte le principali organizzazioni che si occupano di tutela degli uccelli – sottolinea Catullo – Se riusciamo a raggiungere un numero di firme adeguate potremo lanciare un importante messaggio da mandare ai nostri politici e informare il pubblico.
«Il concetto non è caccia sì/caccia no – tiene a precisare Catullo – il problema è il piombo impiegato, che può essere sostituito da leghe atossiche, come rame, acciaio. L’agenzia chimica europea stia che 21mila tonnellate di piombo vengono disperse ogni anno nell’Unione: questo ci fornisce chiare indicazioni su quanto il fenomeno, anche su scala europea, abbia dimensioni inquietanti. Io credo che la strada per il piombo sia segnata, anche perché la sua sostituzione non impone uno stop all’attività venatoria. Ci sono alternative, basta mettersi d’accordo».
L’iniziativa del Wwf contro l’impiego del piombo nella caccia rientra nel progetto, dell’organizzazione ambientalista italiana, ReNature che punta al restauro naturale. «Significa andare a recuperare quella natura oggi così degradata ma che non è persa. E che va riabilitata – ha concluso Catullo – Fermare l’immissione di piombo, soprattutto negli specchi d’acqua delle zone umide, va in questa direzione e migliora lo stato di salute della biodiversità in generale».