Un Premio Nobel per la Letteratura autore di best-seller scrive un libro sul massimo best-seller di un altro Premio Nobel per la Letteratura autore di best-seller. Possibile che non solo il libro non venga tradotto in nessuna lingua, ma non venga neanche più ripubblicato per mezzo secolo?
Stiamo parlando di “García Márquez: historia de un deicidio”: un libro di ben 667 pagine che Mario Vargas Llosa pubblicò nel 1971 per Seix Barral. Tratto dalla tesi di dottorato che lo stesso Vargas Llosa aveva presentato il 25 giugno 1971 alla Universidad Complutense de Madrid con il titolo “García Márquez: lengua y estructura de su obra narrativa”, ottenendo la lode, è in pratica il primo studio organico su Cent’anni di solitudine: libro che era uscito appena quattro anni prima.
Sono i due massimi esponenti di quel «boom latino-americano» che fu uno dei maggiori fenomeni letterari della seconda metà del XX secolo. García Márquez avrebbe poi ottenuto il Nobel per la Letteratura nel 1982, e Vargas Llosa nel 2010, ma quello studio è stato ripubblicato solo ora, dalle Edizioni Alfaguara. Su Amazon.it è 190esimo nella classifica Letteratura caraibica e latinoamericana, al posto 5928 tra i Saggi e al 9192 tra le antologie: teniamo conto che è, appunto, in spagnolo.
Ma su Amazon.es è al 33.096 tra i libri, al 629 tra i saggi, al 538 tra le antologie e al 20 nella sezione Caribe y América Latina. Attenzione, che al numero 17 è “Dos soledades: Un diálogo sobre la novela en América Latina”: pure edito da Alfaguara ad aprile, in contemporanea all’altro, in cui si riporta un dialogo sulla letteratura latinoamericana sempre tra un Marco Vargas Llosa allora 31enne e un Gabriel García Márquez quarantenne che avvenne a Lima nel settembre 1967. Pubblicato anche nel 1968 in un libro divenuto introvabile, anche se con altre edizioni.
Il colombiano aveva già venduto parecchie migliaia di copie di “Cent’anni di solitudine”, e il peruviano aveva appena vinto il prestigioso Premio Rómulo Gallegos per “La casa verde”. Era stato «Marito» a scrivere a «Gabo», poi si erano visti, avevano fatto amicizia, erano diventati inseparabili, e avevano iniziato un sodalizio intellettuale appunto compreso tra quella conferenza e quel saggio. Star dei media oltre che maestri della parola, i due rappresentarono il volto più visibile del Boom. Sia l’uno sia l’altro esibivano un’ambizione letteraria illimitata, che li spingeva a costruire potenti universi attraverso il «romanzo totale».
In Colombia, terra natale di García Márquez, “García Márquez: historia de un deicidio” è in testa nelle librerie. Insomma, è un titolo che vende, e che si sapeva che avrebbe venduto. È indispensabile per gli studiosi di entrambi gli autori, e a cercarlo per librerie dell’usato si arrivavano a prezzi fino a 120 euro. «Un’opera di culto disperatamente cercata da bibliofili e lettori di entrambi gli scrittori insigniti del Nobel», la definisce El País di Cali. «Un evento editoriale» è presentata questa nuova edizione dalla Vanguardia di Barcellona.
Il motivo per cui alla fine hanno deciso di rilanciarlo è evidentemente la ricorrenza tonda: mezzo secolo. El Comercio di Lima sospetta però che sia stato lo stesso Vargas Llosa a decidere di farlo rilanciare in un momento in cui si trovava al centro dell’attenzione per il suo intervento nelle elezioni peruviane, con l’endorsement alla figlia del vecchio nemico Fujimori. Come un modo per ricordare che amicizie e inimicizie nel tempo variano.
Ma come mai per tanto tempo ha rappresentato un tabù editoriale? In italiano, come si è detto, non è mai stato tradotto. L’autore di queste note lo lesse prendendolo in prestito alla biblioteca dell’Istituto Italo Latino Americano quando era accessibile al pubblico, e poi ne ha recuperata una copia digitale via Internet. Ma della sua esistenza ne aveva saputo leggendo per recensione il “Viaggio letterario in America Latina” di Francesco Varanini: un Saggio Marsilio del 1998 che resta tuttora un’opera chiave per capire il Boom, anche per lettori non italiani. Profondo conoscitore del tema senza essere un adoratore del fidelismo alla Gianni Minà, come purtroppo capita a troppi latinoamericanisti italiani, e probabilmente anzi profondo conoscitore del tema proprio per non essere un adoratore del fidelismo alla Gianni Minà, Varanini spiega il titolo con l’idea di Vargas Llosa che «scrivere romanzi è un atto di ribellione contro la realtà, che è opera di Dio, e quindi un deicidio».
Varie recensioni che sono uscite sulla stampa ispanofona hanno ricordato che, peraltro, oltre a Dio nell’atto della creazione letteraria si deve mettere in mezzo il diavolo. Per raggiungere il suo obiettivo, infatti, lo scrittore deve prima lavorare artisticamente con i materiali che la realtà gli offre, e che può deformare a piacimento, aggiungendo fantasia agli eventi. Si è pure osservato che Vargas Llosa inizia a esporre da qui la sua nota teoria dei «demoni»: motivi ricorrenti nell’opera di un romanziere che costituiscono le sue ossessioni. Sono le persone, i fatti, i sogni i miti che hanno contribuito a farti alienare dal mondo. «Uno scrittore non sceglie i suoi temi, i temi scelgono lui», è una sintesi scelta dal quotidiano messicano Milenio.
«García Márquez non ha deciso, mediante un movimento libero della sua coscienza, di scrivere finzioni a partire dai suoi ricordi di Aracataca. È successo il contrario: le sue esperienze di Aracataca lo hanno scelto come scrittore. Un uomo non sceglie i suoi demoni».
Aggiungeva però Varanini: «Forse anche dedicare così tanta e disinteressata attenzione all’opera di un amico è un deicidio: perché procura all’autore una ferita narcisistica troppo profonda, e alla lunga l’autore stesso scoprirà che il gesto era stato poco opportuno. Se scrivere è un modo di “essere come dei”, a tanto ambisce anche Vargas, anzi forse vi ambisce più di quanto vi ambisca Márquez. E esaltando l’amico Vargas umilia se stesso, cosa che non corrisponde al suo carattere. Così l’amicizia si romperà (anche per mai chiariti dissapori tra le rispettive famiglie). E l’opera scomparirà per sempre dalle librerie». Per sempre, no. Ma i 23 anni passati da queste osservazioni sono poco meno dei 27 che erano passati tra la prima edizione e queste osservazioni.
Sempre tra le recensioni apparse ora, c’è chi sospetta che Gabo non avesse gradito troppo la chiave che lo collocava tra Dio e il diavolo. Chissà, forse semplicemente perché rivelavano al mondo la sua cassetta degli attrezzi. “Dell’amore e di altri demoni” dopotutto, è un titolo che effettivamente García Márquez ha messo a un suo libro del 1994.
Il 2021, però, è anche il mezzo secolo da caso Herberto Padilla: poeta cubano che fui arrestato il 20 marzo 1971, per scritti non conformi. Forse per spirito corporativo verso un collega, ma per la prima volta gli intellettuali si accorsero che anche Fidel era un dittatore, e un gruppo di 82 scrittori e artisti di tutto il mondo, già suoi sostenitori, firmarono un appello di sostegno a Padilla, che però era ancora in termini di dialogo col regime.
Tra di loro Jean-Paul Sartre, Simon de Beauvoir, Julio Cortázar, Mario Vargas Llosa, Octavio Paz, Susan Sontag, Juan Goytisolo, Federico Fellini, Marguerite Duras, Alberto Moravia. Ma Fidel fece la faccia feroce, provocando la spaccatura tra chi come Cortázar si tirò indietro, e chi come Vargas Llosa da allora in poi avrebbe considerato il regime castrista un abominio da abbattere. García Márquez restò con Fidel: cosa che gli è stata spesso rimproverata, e a cui lui rispondeva in privato che però riusciva ogni tanto a far liberare qualche perseguitato dal regime, chiedendolo al líder máximo come favore personale. Ma comunque la divaricazione ideologica iniziò ad aggiungersi ai motivi personali supposti da Varanini.
Ma poi la cosa finì a cazzotti. Letteralmente. Quando infatti dopo un po’ di tempo senza vedersi il 12 febbraio 1976 a Città del Messico García Márquez andò a salutare l’amico ne fu accolto e messo a terra da un pugno. Micidiale, perché Vargas Llosa oltre tutto ha praticato pugilato. «Questo è per Patricia», fu più o meno quanto gli si sentì gridare. La cosa sicura è che Patricia è Patricia Llosa Urquidi: una cuginetta che da ragazzina lo svegliava al mattino tirandogli acqua fredda in faccia, e che nel 1965 lo avrebbe spostato, dopo la fine dell’altro matrimonio con una zia di 10 anni più vecchia. È la storia raccontata nel romanzo del 1977 “La Zia Julia e lo scribacchino”, che evidentemente a proposito di «demoni» stava già venendo scritto al momento dell’alterco.
Ma che c’entrava Patricia? Una teoria è che si fosse lamentata con Gabo per le infedeltà del marito e che Gabo le avesse consigliato di divorziare. Un’altra è che ci fosse stato un corteggiamento, proprio a partire dalla insoddisfazione di lei.
Comunque gli amici si divisero in due campi, e ogni volta che gli chiedono della storia Vargas Llosa spiega: «è per lo meno un mistero che voglio lasciare ai miei biografi». Anzi, finché Gabo era vivo diceva: «l’unica cosa su cui io e lui siamo ancora d’accordo è che è un mistero che vogliamo lasciare ai nostri biografi». Madre dei tre figli di Mario, Patricia è stata poi lasciata nel 2015, dopo 50 anni di matrimonio, per Isabel Preysler: notissima socialista spagnola di origine filippina che è stata via via moglie di Julio Iglesias, con cui ha fatto tre figli; del marchese Carlos Falcó, padre di una quarta figlia; e del fisico, economista ed ex-ministro delle Finanze spagnolo Miguel Boyer, padre di una quinta figlia. Il fatto che all’inizio della relazione lui avesse 79 anni e lei 65 gli è valso il soprannome di «Viagra Llosa». García Márquez era intanto morto nel 2014.