Ecologismo buonoLa rivoluzione gentile del wild swimming

Nuotare all’aperto, in luoghi non predisposti, è sempre più lontano dalle nostre abitudini. Eppure è il modo migliore per riavvicinarsi alla natura, investendo nel divertimento e non nel livore. Aiuta a comprendere cosa stiamo perdendo e sensibilizza meglio di mille campagne

di Fernando Jorge, da Unsplash

Il livello di civiltà di un Paese si misura – anche – da come tratta le sue acque. In una situazione ideale devono essere pulite, ben conservate, sicure e, come immagina questo articolo dell’Atlantic, anche balneabili.

È una considerazione insolita, soprattutto per un mondo che, in assenza di eventuali spiagge vicine, ha come unico orizzonte possibile la piscina. Nuotare in ambienti naturali, non controllati, con tutte le incognite del caso, è una abitudine che si è persa nel tempo. Eppure, se ripresa oggi – in un’epoca in cui i corsi d’acqua più vicini alle città sono ben poco invitanti – potrebbe avere una portata rivoluzionaria.

C’è chi lo fa. A partire soprattutto dal libro classico del genere, “Waterlog”, scritto da Roger Deakin del 1999, di cui l’articolo è una rilettura. Il successo dell’opera, che consiste in una esplorazione delle acque inglesi (laghi, fiumi, pozze) raccontata con passione e minuziosità, ha favorito nel tempo la nascita di associazioni di nuoto libero. Anche in Italia sono numerosi i luoghi in cui lo si può praticare: oasi naturali, zone costiere, cascate e pozze. Si va da Spiaggia Giamaica (Sirmione) fino alla Cascata Capelli di Venere (Casaletto Spartano, in Campania) passando per Riva del Garda in Trentino e le Pozze Smeraldine sulle dolomiti friulane.

Deakin, tra i più importanti scrittori di natura britannici aveva cominciato il suo viaggio nel 1996, affrontando nuotate improbabili. Non solo fiumi e laghi, ma anche stagni, spa naturali, dighe e fossati, perfino canali.

Nel suo percorso affrontava luoghi lasciati allo sfacelo, oppure – temerario – si lanciava in corsi d’acqua vicini a fabbriche e industrie, dove venivano sversati liquami e rifiuti.

L’obiettivo era doppio: raccontare una natura dimenticata, quella del mondo delle acque, perdendosi in descrizioni dettagliate e poetiche degli animali che la popolano. Ma anche favorire un impiego della natura (e un approccio ecologista) diverso, nel quale non prevale il senso di colpa o la sofferenza, ma il godimento dell’ambiente, nelle sue pieghe più inaspettate, fragili e libere.

Deakin va alla ricerca di – in senso proprio – fonti letterarie, cioè di luoghi paradisiaci con acque naturali celebrati nella letteratura, per trovarli cambiati, abbandonati, a volte cementificati (e si parla di un’opera scritta ormai 25 anni fa) e distrutti. Il senso di perdita che vive si trasmette al lettore, rinvigorendo la sua sensibilità al tema.

Ma è un altro aspetto, quello rivoluzionario sopra accennato, che fa da sostegno a tutto il libro e, in via generale, a tutto il senso del cosiddetto wild swimming.

Deakin, nel suo viaggio per le acque inglesi è stato messo in prigione da ufficiali giudiziari a Manchester, bloccato dalla guardia costiera a Fowey, e sulle Camber Sands è stato scambiato per un suicida. Tutto questo lo ha convinto di quanto la sua attività fosse aliena, strana e poco familiare.

Nel corso del tempo l’ambiente è stato separato dall’uomo, che può muoversi solo in aree controllate, già predisposte, limitate. «Molti di noi vivono in un mondo dove spazi e cose sono indicate, catalogate, etichettate e “interpretate” in modo ufficiale. In un certo senso si sta trasformando la realtà delle cose in realtà virtuale. È il motivo per cui camminare, andare in bicicletta e nuotare saranno sempre delle attività sovversive», perché «permettono di uscire dai tracciati indicati e rompere la versione ufficiale delle cose», scriveva.

Il fatto che immergersi in alcune aree sia proibito – non tanto per la presenza di animali feroci, quanto per quella di batteri pericolosi – è, in buona sostanza, un errore di prospettiva. Quelle acque, come tutto l’ambiente naturale, non dovrebbero essere in cattive condizioni. Tuffarsi e nuotare non dovrebbe essere mai un’attività imprudente, se le acque sono calme.

Riconquistare anche i canali di scolo (Deakin si immergeva anche lì) è un messaggio forte. Percorrere il territorio, riconsegnarlo a una sua fruiblità rispettosa è il primo passo.

Ci si accorge di quanto si è già perso, di quanto si rischia di perdere e di quanto ancora le vite di tutti siano ingabbiate in aree sempre più ristrette. Forse è rivoluzionario, ma lo è a beneficio di tutti.

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