Dragone di cartaPerché la Cina è allo stesso tempo una potenza economica mondiale e un paese del terzo mondo

Un’analisi di George Friedman su Geopolitical Futures mette a nudo le disuguaglianze e i buchi che minano la solidità di Pechino. Xi Jinping potrebbe aver trovato nelle politiche di Mao la ricetta per rimediare, ma non è detto che funzioni

AP / Lapresse

La Cina non è una grande potenza economica. Almeno non in tutto. È colpa di un’economia complessivamente ricca ma altamente diseguale e disomogenea. È la tesi di un editoriale pubblicato su Geopolitical Futures, firmato dal fondatore e presidente della testata, George Friedman, che considera l’economia cinese alla stregua di quella di un Paese del Terzo Mondo.

«Si discute molto – si legge nell’introduzione dell’articolo – sulla crescita dell’economia cinese e sull’espansione dell’influenza internazionale della Cina. Non c’è dubbio che sia cresciuta costantemente negli ultimi 40 anni, dalla morte di Mao Zedong. Ma Mao aveva creato una Cina straordinariamente povera, basata sull’ideologia e sul desiderio di eliminare il potere della vecchia élite economica che si era concentrata lungo la costa».

La fotografia della Cina di Mao serve proprio a tracciare le differenze con quella attuale, con la Cina di Xi Jinping e i suoi problemi strutturali.

Perché il Grande Timoniere – come veniva soprannominato Mao – sapeva che la borghesia avrebbe rappresentato un ostacolo, o addirittura una minaccia, per la rivoluzione: temeva la tendenza borghese alla ricchezza e al benessere, una tendenza in contrasto con i valori che avrebbe voluto impiantare nel suo Paese.

«In quegli anni Pechino decise di strozzare l’economia cinese: praticamente qualsiasi comportamento razionale da parte dei governanti cinesi avrebbe creato una crescita considerata problematica dal Partito. Non è un caso che la Cina si sia sollevata solo nel momento in cui ha allenatato la morsa malevola e volutamente limitante di Mao», scrive Friedman.

Quarant’anni dopo, sotto una struttura politica decisamente più razionale, la Cina è diventata una delle più grandi economie del mondo, seconda solo agli Stati Uniti. Almeno sotto alcuni indicatori.

Il divario tra gli Stati Uniti e la Cina è ancora notevole, con il prodotto interno lordo cinese che rappresenta solo il 70% di quello degli Stati Uniti. È sicuramente una distanza inferiore rispetto a quella di 40 o anche 20 anni fa. Ma non basta misurare il Pil per stabilire la ricchezza e la solidità economica di un Paese.

O meglio, un Pil da 14 trilioni di dollari è sicuramente un risultato enorme per Pechino. Ma non è il miracolo economico che sembra essere, scrive Friedman: «Il Pil misura l’economia nel suo insieme, ma solo il Pil pro capite dà l’aggregato diviso per la popolazione. Questo restituisce un’immagine, imperfetta ma utile, di come se la passano i cittadini cinesi rispetto a quelli di altri Paesi. Guardando all’economia nel suo insieme, la Cina è impressionante; nel Pil pro capite è un’altra cosa».

Non solo, oltre il Pil, un altro indicatore per capire lo stato di salute dell’economia cinese può essere la parità del potere d’acquisto (PPP): questo valore prende in considerazione la quantità di case (o, più in generale, alloggi) e cibo che può essere acquistato da un certo ammontare di denaro.

Certo, il PPP ha due grossi difetti di cui tener conto: in un Paese vasto come gli Stati Uniti o la Cina, il costo degli alloggi o di altri beni varia notevolmente da zona a zona; inoltre, questi valori possono variare per una miriade di ragioni, anche per motivi politici. Ma in ogni caso sommando il Pil e il PPP si riesce ad avere un quadro complessivo piuttosto nitido.

Nella classifica globale del Pil nominale pro capite la Cina è 59esima nel mondo, dietro Costa Rica, Seychelles e Maldive. In termini di PPP la Cina è classificata al 73esimo posto, immediatamente dietro Guyana e Guinea Equatoriale. Dall’altro lato, fa notare Friedman, gli Stati Uniti sono al quinto posto per Pil nominale – dietro Lussemburgo, Svizzera, Irlanda e Norvegia – e al settimo per PPP.

«Quindi ci sono almeno due modi di guardare alla Cina: come potenza economica di livello mondiale e come Paese del Terzo Mondo», spiega Friedman. «È possibile essere entrambi – prosegue – perché quando aggreghiamo la ricchezza della Cina, si mettono insieme tante di quelle componenti che il Paese può avere la capacità di infuenzare l’economia globale, o di costruire una significativa capacità militare. Ma coloro che muovono i fili della strategia cinese controllano e consumano una ricchezza molto maggiore del Pil medio. Per estensione, coloro che non fanno parte di questo gruppo possiedono una quota nettamente inferiore. In termini comparativi, i cinesi più ricchi godono di uno status alla pari degli americani più ricchi, ma la maggior parte del Paese vive peggio di molte persone che vivono in Guyana o Guinea Equatoriale».

Le disuguaglianze cinesi creano proprio questo tipo di distorsioni, si legge nell’articolo: se chi fa parte dell’élite costiera che gestisce il commercio internazionale, le banche e gli investimenti, o che fa parte della struttura militare-industriale, vive una vita almeno paragonabile ai loro equivalenti negli Stati Uniti, chi invece appartiene alle fasce della popolazione più povere e vive nelle aree interne conduce vite nell’ordine della Guinea Equatoriale. Pochi americani vivono in questo ordine, anche se indubbiamente se ne possono trovare alcuni.

Va ricordato, infine, che quando Mao fallì una rivolta a Shanghai, decise di portare la “Lunga Marcia” verso l’interno del Paese, per raccogliere un esercito di contadini – gli esclusi dalle ricchezze accumulate da chi trafficava nel commercio internazionale lungo la costa – e usò quell’esercito per rovesciare il regime.

«Xi Jinping – conclude Friedman – conosce bene la storia, e il giro di vite su alcune grandi aziende cinesi e sui loro proprietari fa pensare che anche per lui sia arrivato il momento di dimostrare l’impegno del Partito Comunista Cinese nei confronti dei più poveri. La domanda da porsi è se può farlo senza danneggiare la macchina che ha creato il Pil aggregato del suo Paese negli ultimi decenni».

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