Guida poeticaLa meraviglia lineare e riservata della Finlandia

Come ricorda Paolo Bologna in “ll sogno delle città perdute”, girare per Helskinki è una ricerca della luce in mezzo ad architetture ordinate e pulite. La capitale è sul mare ma non sembra. E il suo fascino nasce dal suo essere la porta di ingresso per il Nord

di Varun Sharma, da Unsplash

Helsinki è uno pneuma, un sogno metafisico dove il disordine è bandito. Non fa caldo e non fa freddo d’estate, tram a due colori e biciclette. Mezzo milione di abitanti in un paese di cinque.

Chiudo gli occhi sul letto, ho già fatto colazione, in camera c’è una piccola cucina. Una donna mi bacia sulla bocca, non so chi sia, è mora e ha i capelli corti. Ho visto il giorno che non finiva mai stanotte; è come nascere ancora.

La meraviglia di un paese nuovo vince il tempo. I finlandesi sono i più grandi consumatori di caffè al mondo, ma quello che mi hanno dato al bar del distributore qui sotto era il peggiore che abbia mai bevuto, due euro per un brodo immondo, acqua sporca, un marrone slavato dal gusto vomitevole. Forse era il luogo sbagliato, ma ho deciso di non rischiare più; ora sono rientrato e sul fuoco c’è del caffè italiano, l’ho trovato nel piccolo spaccio. Basta un pentolino, non serve la moka. Esco.

La birra è sui tavoli dei bar sin dal mattino, ubriachi o alticci silenziosi, ma non irriverenti, girano in una città senza folla. Sono i lunghi inverni e il freddo a rendere l’alcool un rifugio per il corpo e l’anima, questo ti vien da pensare. Cercare la luce, il sole e il suo calore che ti sfiora le guance. Scaldarsi l’anima con una boccata di fumo e un sorso di birra.

La stazione centrale è un capolavoro di inizio ’900, con i suoi giganteschi e monumentali guardiani di granito rosa all’ingresso, come colossi di Rodi scandinavi, l’enorme vetrata, timpano a semicerchio e la torre dell’orologio. La disegnò Eliel Saarinen, il padre di quell’Eero Saarinen del tavolo e delle sedie che ho in casa.

È stato il mio primo incontro con Helsinki, ieri, sceso dall’autobus dall’aeroporto. Una meraviglia da ammirare seduto ai bordi della vasta piazza bifronte, come fosse un oggetto, quasi un gigantesco giocattolo d’altri tempi. Vale la pena di visitare Helsinki solo per questa meraviglia.

Una pioggia, leggera e insistente, rende il piazzale lucido; una zingara con la gonna di velluto viola e verde mi viene incontro senza ombrello, stringendosi nelle spalle. Mi aspetto una mano tesa a chiedere, invece mi sfiora appena guardando dritta davanti a sé.

Dentro al caffè della stazione due ragazze sedute a un tavolo non sanno che le osservo per carpire le loro forme: è così quando si arriva in un paese nuovo, si osservano voracemente le forme che ci circondano, quelle delle città, dei palazzi, dei corpi delle persone, degli oggetti; analizziamo, ci facciamo delle idee che spesso vengono confutate facendoci ridere di noi stessi. Ma qualcosa di vero c’è sempre.

Quell’esitazione della scoperta e del confronto ti rimarrà sempre.

Un ubriaco cammina velocemente per non cadere, si dirige verso l’uscita, una lama di luce dalle vetrate lo investe per un secondo; ha i capelli lunghi e lisci con la spartita al centro, con la faccia e il vestito un po’ anni ’70, come i protagonisti dei film di Kaurismaki.

Si è sempre schiavi delle poche conoscenze che abbiamo di un paese, è inevitabile. Ma il grande regista racconta dei diseredati, i suoi modelli li ha presi dalla realtà che lo circonda, non è andato lontano.

Perché il mio viaggio comincia a Helsinki? Viaggiare è anche sentirsi come un ramo caduto in un fiume, e lasciarsi trascinare dalla corrente. Perché ti trovi in quel punto della sponda forse prima lo sapevi, ora è un mistero. Sei in un posto x di un pianeta X.

Ma a breve troverò la direzione, devo solo ambientarmi, orientarmi un po’. È così spesso, quando parto, non devo mai avere una o tante direzioni prestabilite, aiuta lo spirito a sentirsi più liberi, lasciar chiarire poi, sulla strada, dalla strada. Vuoi che sia lei la padrona. Come il vento: quando si alza, è in quel momento che la vita ritrova la sua necessità.

Una lingua soffiata. Invenzioni di luce

Helsinki è una città di mare, anche se il mare non lo si sente nelle strade. All’estremo sud del paese, appesa sul Golfo di Finlandia, dove si affacciano anche San Pietroburgo, a est, e più vicino, proprio di fronte, Tallin e l’Estonia baltica.

Quel suono di una lingua soffiata e con poche erre, rotonda: Suomi, evoca dolcezza, armonia. Le parole finiscono spesso con vocali, in qualche modo somiglia all’italiano e l’Italia è stata d’ispirazione per tanti artisti finlandesi. La cosa più bella è la ripetizione che fanno in un nome delle vocali, come Siltasaari, Haeentie, ma raddoppiano anche le consonanti, Kauppianaank.

Il centro della città si snoda su due direttrici a forma di L. La grande Mannerheiminthe, da nord a sud, e la Pojoisesplanadi, verso est. Distrutta da un incendio a inizio Ottocento, quando era soprattutto in legno, la città è stata quasi tutta ricostruita in solida muratura.

Sulla Mannerheiminthe, verso levante, si apre il nuovissimo museo di arte contemporanea, il Kiasma, come una mega-nave con la prua a sbalzo sul grande parco sottostante, in dislivello. Poco più avanti c’è la stazione monumentale e sulla stessa grande, doppia piazza, l’Ateneum, grande palazzo neoclassico e museo nazionale d’arte. L’altra direttrice, la Pojoisesplanadi, aperta sulla parallela Etesplana, insieme a questa forma una lunga passeggiata ottocentesca, idea urbanistica notevole, un boulevard di negozi e un parco insieme, un lungo giardino pubblico non più largo di 60 metri. Termina sulla grande piazza del porto, centro pulsante della città turistica, con il mercato aperto di bancarelle, friggitorie e biglietterie dei battelli per il giro delle isolette. Contigua al porto c’è la grande piazza del Senato, dominata in alto dalla cattedrale neoclassica con la sua grande scala bianca.

L’Ateneum raccoglie opere soprattutto del Romanticismo finlandese. Nel cortile a piano terra, c’è un’installazione che ho amato particolarmente, composta da una miriade di linee colorate verso la cima del palazzo, che sfonda verso il cielo.

Una serie di funi, tirate dal basso verso il tetto in diagonale con sopra appese, stese come bucato, una infinità di camice e magliette variopinte, di quelle che si trovano nel mercato degli abiti usati.

Il Kiasma, il recentissimo museo di arte contemporanea, è bello soprattutto da fuori. Le opere sono di quelle presenti in tanti musei di arte contemporanea: oggetti e spazi organizzati per essere un continuo parco giochi per bambini, quasi un museo-asilo nido? Pieno di mamme e qualche papà, i bambini giocano a terra o tra le cose appese colorate.

Quel serioso gioco al massacro della rappresentazione naturalistica che è stato il secolo ventesimo, creativo fino agli anni ’70, si è poi troppo ripetuto, commercializzato, spesso fino a trasformarsi, in deriva, in un invito allo spazio ludico, o meglio, una costrizione al gioco. Chi andrebbe poi nei musei di arte contemporanea, se non i genitori a passeggio con i bambini?

La mastodontica Finland-Talo (Casa della Finlandia), sul laghetto poco più a nord del Kiasma, vista da lontano non mi ha fatto un gran bell’effetto. Sembra una serie di giganteschi termosifoni, radiatori squadrati, incastrati uno nell’altro.

Alvar Aalto, gigante dell’architettura del secolo scorso, inventore di luce, voleva superare il romanticismo con il razionalismo funzionale. Meglio la sua Enso-Gutzeit, sorta di Colosseo quadrato sulla piazza del porto, all’ingresso dell’isoletta di Katajanokka, con il suo bellissimo quartiere liberty.

La recente chiesa Temppeliaukion kirkko, completamente scollegata dall’architettura classica, è un esempio di spiritualità primordiale. Per metà dentro la terra, come una tana, ma piena di luce. Quasi un manufatto preistorico, come un nuraghe o uno ziggurat, ma molto grande; da lontano, la sua calotta sferica in rame, incastrata dentro una circonferenza di sassi, rimanda a immagini di una futura postazione su di un altro pianeta, oppure a un grande fungo a ovulo cresciuto dal suolo.

Nei lunghi e bui inverni scandinavi, immagino che dalle grandi vetrate si osservi il cielo e le stelle. Cosa davvero ragguardevole, fa pensare a un planetario.

L’opera architettonica rappresentativa raramente è più importante delle forme stesse della città. Meglio passeggiare per scoprirla, la città, come un organismo vivente. È quello che farò in questo viaggio, penetrare a piedi i corpi delle città d’Europa. Ma se incontri un capolavoro, come lo è qui la Stazione Centrale di Helsinki, allora di colpo diventa la sua luce che si irradia intorno. Forse le stazioni dei treni sono gli edifici pubblici più belli del mondo? Perché sono un viaggiatore? Allora sì, è un giudizio di parte, non v’è dubbio.

Il museo che forse più di ogni altro è l’arte della Finlandia è il Museo dell’Arte e del Design.

Nel piano terra c’è una carrellata storica dagli anni ’40- ’50 in poi, nel piano sotterraneo opere più recenti, meno entusiasmanti. Il primo piano è ora dedicato a Eero Arnio, una vera meraviglia. Ha creato, dagli anni ’60, una serie infinita di oggetti per la casa, per giardini e parchi, inconfondibili e popolari, diffusi e famosi ovunque, almeno in Europa. Insieme ad Aalto e Saarinen ha dato un’impronta inconfondibile alle nuove forme del secolo scorso.

da “ll sogno delle città perdute. Viaggio negli spazi della vecchia Europa”, di Paolo Bologna, Besamuci editore, 2021, pagine 232, euro 16

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