La produzione continua di contenuti, la pervasività social, l’insistenza di piattaforme – da quelle di video fino alle chat – che passa attraverso notifiche e email programmate ha come obiettivo attirare, e ottenere, la nostra attenzione. Non a caso si parla, utilizzando un’espressione dell’economista Herbert Simon risalente agli anni ’70, di economia dell’attenzione.
Le multinazionali del click, volendo semplificare, ricavano i loro guadagni proprio dal tempo e dall’interesse mostrato, o ipotizzato, degli utenti. Lo monetizzano, lo incanalano in algoritmi pensati per il piazzamento di pubblicità o per lo studio dei comportamenti. Nella trappola dell’attenzione cascano tutti, con effetti profondi: stordimento da eccesso di informazione, riduzione della memoria, difficoltà nella concentrazione e perdita di tempo.
Per resistere non basta spegnere telefoni o chiudere laptop. Bisogna invertire la tendenza. E forse questo consiglio apparso sul New York Times Magazine potrebbe essere utile.
Lo dà Elliott Holt, scrittrice americana, autrice di “You Are One of Them”, sulla storia di Samantha Smith, la ragazzina statunitense che scrisse lettere al presidente russo Andropov e venne invitata a fare una visita nell’Unione Sovietica. Morì però in un incidente aereo mentre tornava in America.
Il consiglio di Holt è molto semplice: leggere ogni giorno una poesia. Ma con una particolarità: il primo giorno del mese, Holt ne sceglie una e poi continua a leggera, ogni giorno (anche più volte), per tutto il mese. Non è una sua idea, confessa nell’articolo, gliela ha suggerita una sua amica alla quale, a sua volta, era stata consigliata da altri.
Il punto sta proprio nella ripetizione. Le stesse parole, le stesse frasi, vengono scandagliate ogni volta e, nota, ogni volta incontrano qualcosa di nuovo. Alla fine del mese «conoscevo i versi a memoria», ma soprattutto modifica il suo grado di attenzione. Prima alle parole, poi al senso, al ritmo. La comprensione diventa più profonda, le osservazioni più raffinate.
Holt ripercorre le poesie lette finora: a gennaio comincia con “How to Draw a Perfect Circle”, d Terrance Hayes, una poesia che racchiude in sé l’idea del cerchio. Poi “I Measure Every Grief I Meet” (“Misuro ogni dolore che incontro”) di Emily Dickinson, un classico che le sembrava adatto per la pandemia. A marzo è toccato a “The Idea of Order at Key West” (“L’idea dell’ordine a Key West”), di Wallace Stevens, per andare avanti con “Rain Light” di W. S. Merwin ad aprile e a maggio con il premio Nobel Louise Glück e la sua “Vita Nova”. A giugno è toccato a “Sorrows” (“Sofferenze”) di Lucille Clifton e a luglio “Persimmons” di Li-Young Lee. Ad agosto Adrienne Rich e “Translations” (“Traduzioni”).
Si tratta di un atto di resistenza, di lentezza e ripetizione. L’opposto di quello che serve all’economia dell’attenzione. Anche perché è un gesto che porta a concentrarsi, a riflettere e a ripensare sul già pensato. Il risultato supera la semplice comprensione, arriva a un livello di intimità con i versi mai pensato prima. In un certo senso cambia, da dentro, il modo di vedere le cose. E nutre un maggiore livello di consapevolezza.