Tommaso Claudi, 31 anni il 30 agosto, è il diplomatico più popolare d’Italia, in questo momento. E si trova a dovere gestire in prima linea una delle più gravi crisi politiche e umanitarie del nuovo millennio. La foto che lo ritrae sul muretto mentre tira su un bambino dalla fogna di Abby Gate, l’ingresso dell’aeroporto di Kabul, ha fatto il giro del mondo.
«Faccio il mio lavoro. E il nostro è un lavoro di gruppo: io sono un semplice funzionario di ambasciata, non un personaggio pubblico. C’è il mio ministero, c’è la Difesa, c’è l’intelligence. Io sono un piccolo ingranaggio del sistema. Non mi aspettavo tutto quel clamore dopo quella fotografia. Il nostro unico lavoro era andare su quel muro per portare assistenza ai cittadini afghani in stato di necessità. Ecco, se devo dire che c’è un significato in quella fotografia, è quello della squadra», racconta a Repubblica mentre l’Isis minaccia di colpire l’aeroporto ed è cominciato il conto alla rovescia della coalizione per lasciare il Paese.
Lui, che ha scelto di andare in Afghanistan nel 2019, dice che rifarebbe quella scelta «ogni giorno», ma non fa valutazioni politiche sull’esito della missione. E non ha mai pensato di andare via dopo la presa di Kabul da parte dei Talebani. «Questo è il mio lavoro. Questo è il mio posto: come ho detto sin dal principio, io resto qui fin quando ce ne sarà bisogno», ripete. «Ma non di me. Ma del nostro Paese e, per la mia piccola parte, del mio lavoro. Oggi ho passato la mia giornata al gate perché è lì che dovevo essere. Certo, è un problema serio di ordine pubblico. Quelle foto, compresa quella scattata a me, sono drammatiche. Il nostro compito è di fare il possibile per gli afghani. Pensando sempre alla sicurezza del nostro personale».
Marchigiano di Camerino (Macerata), Claudi è stato promosso al ruolo di console ad interim per gestire l’esodo dall’aeroporto dopo che l’ambasciata di Kabul è stata evacuata verso Roma assieme all’ambasciatore Vittorio Sandalli. Una delle attività più importanti del console con la sua équipe è proprio quella di continuare a vagliare le domande di aiuto che arrivano dai civili afghani. «Ora sono stato assegnato in Arabia Saudita. Non so quando mi sarà chiesto di andare, credo che prima dovremo finire qui il nostro lavoro».
Intanto, «stiamo portando in salvo un grandissimo numero di persone, tra cui tutti i nostri connazionali che ne hanno fatto richiesta e quasi 2.700 cittadini afghani. Il numero muta continuamente e crescerà con i prossimi voli in programma. Ad oggi il numero di italiani evacuati si aggira sulla settantina, dalla crisi di metà agosto. E si stima che un’altra ventina siano ancora nel Paese, di cui la grande maggioranza collaboratori di Emergency», racconta al Corriere. Ma «noi qui siamo per servire il nostro Stato e partiremo quando l’ordine ci verrà impartito da Roma».