Un breve incantoGuida semiseria per imparare il gergo del mercato dell’arte

Il libro di Marco Riccòmini (La Nave di Teseo +) è un dizionario che raccoglie la terminologia fondamentale per orientarsi nel linguaggio delle case d’asta, elencando in ordine alfabetico le espressioni del settore che potrebbero sfuggire ai profani e gli apprendisti collezionisti

AP Photo/Matt Dunham

Buyer’s premium

A tradurlo maccheronicamente, buyer’s premium suona come una beffa: “il premio dell’acquirente”. Infatti, anziché vincere un “premio”, chi compra in asta deve riconoscere alla casa d’asta una commissione (premium) calcolata in percentuale al prezzo di martello.

Facciamo un esempio: dal 25 febbraio 2019, Sotheby’s richiede a chi acquista a Londra, New York o Parigi, il 25% fino a 300.000 sterline, il 20% da 300.001 a 3.000.000 di sterline, e il 13,9% oltre. Ma se l’asta è a Milano, la commissione più bassa sale al 30,5% (perché include l’IVA). Le percentuali variano però da maison a maison e da Paese a Paese (e, perfino, per tipologia di lotti: le aste di vini a New York o a Hong Kong, per dire, hanno una commissione minima del 24%, del 21% a Londra), ed è quindi difficile fare confronti e non avrebbe senso ragionare in termini di “risparmio”.

Così come in italiano, premium significa in inglese diverse cose. Oltre a “commissione” (pensiamo, anche, al premio di assicurazione, ossia a ciò che un assicurato deve pagare all’assicuratore per gli obblighi di risarcimento danni assunti da quest’ultimo alla stipula di un contratto), premium significa anche “premio” o “indennità” (pensiamo al premio di produzione). Inoltre, con quel termine, gli inglesi denotano anche un bene di qualità superiore; con premium lager, ad esempio, si definirà una birra più pregiata delle altre.

D’altronde, caricare del 30% un acquisto in asta (oltre a ciò che si prende dal venditore) si giustifica solo offrendo un servizio di qualità superiore. O no?

 

Commission

Viene da pensare a un gruppo di esperti in abito scuro incaricati di accertare il tal fatto o misfatto. La “commissione d’inchiesta”, si sente dire. In effetti, sia in inglese sia in italiano, il termine commission ha due significati diversissimi tra loro. Quello, appunto, di “commissione” intesa come gruppo di persone cui è affidato un compito da autorità pubbliche o private, e quella di compenso corrisposto a chi svolge un servizio per conto altrui.

La commission è ciò su cui campano le case d’asta, per capirci. Questa è fissata in misura percentuale sul prezzo di aggiudicazione e viene applicata sia al venditore (seller’s commission) sia al compratore (buyer’s premium). La proporzione della misura tra chi vende e chi compra è grossomodo quella di uno a tre, ossia il 10% a chi vende e il 30% a chi acquista.

Varia, inoltre, da casa d’asta a casa d’asta e cala col crescere del prezzo di aggiudicazione; più è alto, meno sarà il buyer’s premium. La seller’s commission, poi, è spesso negoziabile, e dipende dal valore dell’oggetto in vendita. Se è alto (diciamo sopra il milione di euro), non si applicherà alcuna commissione (0 commission), e se è molto alto la casa d’asta potrà ricorrere addirittura a una enhanced commission o enhanced hammer (“commissione” o “martello potenziato”). Ossia, cedere al venditore una parte del buyer’s premium per attrarlo a vendere con loro e non con la concorrenza (dopotutto, “la guerra è uno sporco affare”).

A conti fatti (o, per fare i “conti in tasca”), la vendita di un’opera importante non procurerà automaticamente un grosso guadagno alla casa d’asta, ma volete mettere in termini di pubblicità?

 

Condition Report

In inglese, sinonimi di condition report (con l’accento in report sulla seconda vocale e non sulla “e”, come si sente quasi sempre pronunciare maldestramente dai nostri connazionali) sono i termini assessment, evaluation e, anche, appraisal, che significano tutti invariabilmente “valutazione”.

Di cosa, lo specifica la prima parte dell’espressione, condition, ovvero lo “stato” del bene da valutare. Se lo si cercasse online, si scoprirebbe che è un documento indispensabile nelle trattative per la locazione di immobili, e serve a stabilire lo stato di un appartamento al momento della stipula del contratto d’affitto.

Nel lessico artistico indica quel documento che i restauratori compilano certificando lo stato di conservazione di un oggetto posto in vendita, presso un antiquario o una casa d’asta. Serve a orientare un potenziale acquirente che non ha gli strumenti per capirlo da sé e, inoltre, a tutelare il venditore, che con quel documento avvisa sui possibili difetti del bene posto in vendita. Questa la prassi.

In realtà, come sa bene chi ha lavorato dietro le quinte di una casa d’asta, spesso manca il tempo (e le risorse) per far valutare ogni singolo lotto da un restauratore professionista e gli stessi esperti s’improvvisano in quel ruolo senza, però, aver mai neppure annusato l’odore acre d’un solvente.

Il consiglio, quindi, lo traiamo dalle condition of sale d’una casa d’asta: «We recommend you get your own advice from a restorer or other professional adviser», ovvero: «Si raccomanda di far fare una propria valutazione da un restauratore o altro consulente professionista».

da “Un breve incanto. Dizionario semiserio del mercato dell’arte”, di Marco Riccòmini, La Nave di Teseo +, 2021, pagine 304, euro 20

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