La divina arguziaIl mito di Dante è stato costruito grazie agli aneddoti

Il poeta fiorentino ha cominciato subito, grazie alla sua celebrità, a diventare il protagonista di storielle, facezie e leggende. Un libro le raccoglie e dimostra come proprio da lì sia cominciata la sua monumentalizzazione

AP Photo/Antonio Calanni

Non è vera gloria se non si finisce in mezzo ai pettegolezzi. Nel caso di Dante Alighieri, diventato famoso già in vita grazie alla ”Commedia“, le dicerie si trasformano subito in aneddoti. Alcuni veri, alcuni falsi, alcuni a metà. Tutti però hanno contribuito a creare il suo mito, che si è propagato nei secoli fino a oggi. Luca Carlo Rossi li ha raccolti in “L’uovo di Dante” (Carocci, 2021), un’approfondita indagine su facezie, storielle, episodi di varia natura in cui appare la figura del poeta, più o meno distante dalla realtà storica.

Si scopre allora che Dante non sapeva comportarsi negli ambienti di corte (almeno secondo Petrarca). Era altero, superbo e amava stare in disparte a riflettere. Aveva però una memoria prodigiosa, tanto da ricordarsi la domanda banale di un passante («Qual è il miglior boccone?», «L’uovo», risponde) anche quando viene continuata a distanza di anni («Con che?», «Col sale»). Era in grado di concentrarsi in modo profondissimo, tanto da non accorgersi per ore di una festa con dame e cavalieri lì accanto. Alle provocazioni, rispondeva sempre a tono.

Non solo: era anche un mago, un necromante. Aveva un contatto diretto con il mondo dei morti, anzi: ci andava e veniva, almeno secondo l’opinione di alcune popolane veronesi. Soprattutto, aveva la barba.

Quest’ultimo dettaglio è singolare: l’iconografia dantesca, che nei secoli è rimasta pressoché inalterata («a partire dalla più antica attestazione riconosciuta nell’affresco giottesco del Palazzo del Bargello di Firenze. Si sono anche realizzate simulazioni fisionomiche a partire dal teschio presente nella tomba di Ravenna») ha perlopiù rimosso questo particolare, che pure è presente nella descrizione fatta dal Boccaccio nel suo “Trattatello” e, cosa ancora più significativa, nelle indicazioni che lo stesso Dante dà nella “Divina Commedia”, quando incontra Beatrice alla fine del Purgatorio.

Quello che ne scaturisce, in ogni caso, è un personaggio che, in nome della sua autorevolezza, viene manipolato di episodio in episodio per finalità differenti. A volte gli aneddoti sono riflessi e fioriture della sua opera, come la storia del suo svenimento di fronte a Beatrice o il colloquio con il falsario Capocchio, che aveva dipinto un ritratto della Passione sulle unghie per cancellarla all’arrivo di Dante (entrambi gli episodi sono raccolti da Benevenuto da Imola).

A volte servono ad approfondire alcuni aspetti della personalità, come la leggenda del Dante mago, capace di entrare in contatto con gli spiriti e praticare stregonerie. In realtà si tratta di un aspetto documentato e, nonostante sia lontano dalla sensibilità attuale, ben presente nella formazione culturale del tempo. Se è vero che Dante era stato contattato per effettuare una sorta di rito voodoo, restava il fatto che la necromanzia fosse al limite dell’eresia e praticarla poteva rivelarsi pericoloso. Non è mancato, tra gli studiosi, chi abbia ipotizzato che la scomparsa degli autografi danteschi fosse da attribuire al timore di possedere le carte di uno stregone.

A volte ancora servono a farlo scendere dal piedistallo, ad esempio – come fa Boccaccio – ricordando la passione, molto carnale, che Dante aveva per le donne. Benvenuto da Imola, addirittura, insinua che negli anni bolognesi (come del resto facevano i suoi studenti) il poeta avesse frequentato prostitute. Per lui era una pulsione irresistibile, soprattutto «per la voluttuosa terra fiorentina, talvolta ingannando donne». Questo tratto, se oggi stride con l’immagine monumentalizzata del poeta, era sopravvissuto per qualche secolo nella tradizione, tanto che in una raccolta del XVI secolo ricompare. Stavolta è ambientato a Ravenna, cioè nei suoi ultimi anni di vita, dove Dante continua a frequentare prostitute. Nella storiella, che si risolve in un bon mot, una di queste racconta come era andato l’incontro: «Signor mio, secondo me è un uomo scarso e fiacco: anche se dotato di una buona bestia, non ha cavalcato più di un miglio».

Gli aneddoti danteschi sono tutto questo. Ognuno di loro impasta stereotipi a qualche lontana verità, spesso più che altro desunta dall’opera poetica. Il personaggio, ridotto a poco più di una maschera, si muove a suon di battute e facezie, obbedendo al dispositivo narrativo e staccandosi da qualsiasi contesto storico reale.

Cercare allora il vero Dante (qualora qualcuno volesse farlo, qualora esistesse davvero) lungo la scia di questi echi che si sono avvicendati nel corso dei secoli sarebbe un’impresa vana. Il bello è trovarne, invece, tantissimi. Ognuno diverso, ognuno che risponde a esigenze nuove e distanti, ognuno da indagare. In un panorama più ricco dell’oleografia retorica dei centenari e delle celebrazioni.

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