In Europa, e soprattutto in Italia, si muore per l’inquinamento generato in altri Paesi.
A dirlo non è solo il buon senso, visto che quando si parla di aria non esistono confini, ma anche i dati pubblicati in un report dia CEE Bankwatch Network e del Centro di ricerca sull’energia e l’aria pulita CREA.
Il rapporto Comply or Close, mette in luce quali siano stati gli effetti sulla salute degli europei, delle emissioni delle 18 centrali a carbone che operano in Paesi extra Ue ma che sono comunque vicini a noi.
Il riassunto breve di quel che dice il report si può fare in una parola sola ed è: pessimi.
Se invece si vuole estendere un po’ il concetto, occorre fare i conti in tasca sia alle centrali e alle loro emissioni, sia al modo dell’Unione europea di agire o non agire per evitare il fenomeno.
In particolare, occorre partire dal fatto che secondo il rapporto, che per le sue stime ha usato i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, combinandoli con quelli della NASA per tenere nota di come si spostano i venti e l’aria, risulta che le emissioni di inquinanti degli impianti di Serbia, Kosovo, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord e Montenegro, hanno provocato, solo negli ultimi tre anni, circa 19mila morti, più di metà dei quali (10 mila e 800) in Europa, in particolare in Italia, Ungheria, Romania e Grecia.
Un dato allarmante, la cui soluzione appare oltre che lontana nel tempo, anche, per forza di cose, politica. E tocca all’Unione europea muoversi perché arrivi in tempi ragionevoli.
Una cosa che l’Europa può fare in due modi. Il primo, e più facile, è quello di smettere, subito, di importare energia dai Paesi balcanici che la producono, come visto, in un modo nocivo sia per l’ambiente del pianeta che per la salute degli stessi cittadini europei.
Al momento l’Unione europea importa circa l’8% dell’energia prodotta, tramite carbone, nei Balcani. Una percentuale che si traduce in una fetta decisamente residuale (circa 0,3%) del totale dell’energia consumata all’interno dell’Unione. E che dunque potrebbe essere facilmente sostituita da fonti rinnovabili.
L’altra cosa che l’Unione europea potrebbe fare sarebbe quella di imporre sanzioni, o di interrompere i finanziamenti ai Paesi che producono elettricità con sistemi inquinanti. Anzi, più che inquinanti, illegali. In base alle rilevazioni riportate nel rapporto, infatti, tra il 2018 e il 2019, le centrali a carbone dei Balcani hanno emesso circa sei volte la quantità di inquinanti consentita dalle norme dei loro stessi Paesi, nel piano NERP (Piani Nazionali di Riduzione delle Emissioni).
Nel 2020, poi, le emissioni sono addirittura cresciute, arrivando a essere di 6,4 volte più alte del consentito. Alla luce di questi dati emerge che, in tutto, le centrali elettriche dei Paesi confinanti con l’Unione Europea hanno prodotto 2,5 volte più emissioni nocive rispetto a tutte le 221 centrali a carbone dell’UE messe insieme lo scorso anno. Uno stato di cose che l’Europa, per quanto possibile, deve fare pressione affinché cambi.
«I governi dei Balcani occidentali non possono sognare l’adesione all’Europa ignorando le regole di controllo dell’inquinamento – ha affermato Ioana Ciuta, coordinatrice energetica per i Balcani occidentali presso CEE Bankwatch Network – Per evitare questo tipo di inadempienza flagrante, l’applicazione del trattato della Comunità dell’energia deve essere considerata una priorità. La Commissione europea e i governi dell’Unione europea devono introdurre sanzioni efficaci».
Senza una riduzione complessiva degli inquinanti, nel mondo intero, dalla Cina, agli USA, dall’Africa all’India, è del tutto evidente che lo spegnimento delle centrali a carbone europee sarà del tutto vano.