George Lakoff sostiene che ogni volta che usiamo o ascoltiamo una parola, nel nostro cervello si attiva un frame. E Tullio De Mauro afferma che:
«Il linguaggio non vive solo di parole. In quanto vive di parole, vive anche della preliminare selezione delle cose che con esse si vogliono dire, della scelta dei destinatari che possano intenderle, dei rapporti che chi le usa voglia stabilire con questi e voglia che questi stabiliscano con le cose che si dicono e con chi le dice».
[…] C’è una dimensione pragmatica della lingua che riguarda il contesto nel quale si colloca che può influenzare ed essere influenzato dagli atti linguistici.
Un fenomeno importante, messo in luce dalla linguistica cognitiva, che può consentire di comprendere meglio il significato delle parole e la dinamica del cambiamento linguistico, è rappresentato proprio dal frame. Potremmo tradurlo con “cornice”, “quadro”.
Infatti, ogni parola o locuzione o unità polirematica attiva un quadro di conoscenze acquisite sottostante e acquista significato soprattutto in relazione a esso: è una spia di queste cornici mentali, che determinano la nostra visione del mondo, interiorizzate attraverso le nostre abitudini sociali, non certamente universali, ma particolarmente radicate nell’inconscio, come gli stereotipi. Non si percepiscono attraverso l’introspezione, ma attraverso gli effetti che producono.
Prendiamo in prestito dall’ecologista francese Noël Mamère un esempio che può essere illuminante e consideriamo la locuzione oro nero, che il dizionario di Internazionale.it definisce neutralmente “petrolio”.
La parola indica una realtà extralinguistica ben precisa, che può essere inquadrata però in cornici molto diverse, a seconda delle culture o dei contesti che la rappresentano. Nella nostra società capitalistica, attratta dalle risorse petrolifere per lo sviluppo delle sue industrie, attiva certamente l’immagine della ricchezza potenziale da sfruttare, di qui il riferimento all’oro, mentre, invece, nel cuore dell’Africa, presso gli abitanti del delta del Niger che possiedono tutt’altra esperienza del petrolio evoca nel loro inconscio cognitivo un’immagine ben diversa che il politico francese traduce con espressione forte merde de Dieu.
Questo esempio rende efficacemente l’idea del frame sottostante nelle due diverse società, un concetto che rimanda all’antropologia, alla psicologia, alla sociologia e che può essere rappresentato come una tela di fondo semantica a cui la parola è attaccata come un ragno e da cui può staccarsi difficilmente.
Elaborare frame fa parte delle normali attività umane. Ogni frase che pronunciamo, ogni idea che esprimiamo ne sottende di precisi. Quando un conservatore usa il frame degli “sgravi fiscali” probabilmente è davvero convinto che le tasse siano un’afflizione. Tuttavia è vero, i frame possono essere usati anche per manipolare le persone. […] Anche l’informazione sfrutta il potere manipolatorio dei frame. Succede anche quando si cerca di associare un frame innocente a qualcosa di imbarazzante, in modo da far credere che quell’episodio o quella dichiarazione imbarazzante siano qualcosa di normale o addirittura positivo. La propaganda è un altro uso manipolatorio dei frame. Consiste nell’intenzionale tentativo di far accettare alla gente frame falsi per conquistare o conservare il potere politico.
Un esempio di tale uso manipolatorio può essere l’espressione greenwashing.
Si parla di greenwashing per indicare le pratiche adottate da quelle aziende o organizzazioni interessate ad acquisire una reputazione «verde», ossia ecologica, senza che vi corrisponda un modo di operare sostanzialmente diverso da quello degli altri soggetti (concorrenti) rispetto ai quali esse si vogliono differenziare.
Le origini di questa strategia risalgono agli anni ’70 e ’80, quando vi si ricorreva per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica e dei media dall’impatto ambientale negativo (talvolta veri e propri disastri) di alcune attività produttive. Il termine specifico, coniato negli anni ’90, nasce dalla combinazione di due parole: green (verde) – il colore associato all’ambiente e al movimento ambientalista – e whitewashing, che si usa negli Stati Uniti per indicare azioni fatte per “dissimulare” o “nascondere” e che in italiano potrebbe essere tradotto con “imbiancare”.
Il greenwashing dunque è ciò che si potrebbe definire un “marketing ecologico di facciata”, i cui sforzi sono orientati – prevalentemente attraverso attività di comunicazione – a una modifica della reputazione aziendale senza incidere realmente sulla sostenibilità ambientale dei processi produttivi adottati o dei prodotti realizzati. Per estensione, sebbene impropriamente, il termine viene utilizzato anche per indicare altre azioni di “marketing di facciata” non collegate a questioni ambientali, ma a ulteriori aspetti della sostenibilità e della responsabilità sociale d’impresa, come il rispetto dei diritti dei lavoratori o la tutela dei consumatori.
La modifica di un frame, cioè un reframing, non può che avvenire lentamente. Si può ipotizzare però che, alla base di alcune delle formazioni neologiche, soprattutto di quelle che hanno implicazioni sociopolitiche, ci possa essere una modifica o un cambiamento di queste cornici, almeno in quella parte della società che si presenta come portatrice di istanze di rottura.
La società contemporanea è diventata sempre più consapevole che il significato delle parole non è da intendersi come proprietà logica intrinseca e che le parole non hanno solo una dimensione denotativa che rinvia a una realtà oggettiva, ma anche molte sfumature connotative, comprensibili solo capendo il contesto del loro uso. La diversa connotazione delle parole dipende anche dalla “struttura narrativa” in cui vengono inquadrate. Spesso opposte visioni politiche si consolidano attraverso narrazioni diverse che le legittimano agli occhi dei loro simpatizzanti.
da “Storie di parole nuove. Neologia e neologismi nell’Italia che cambia”, di Ugo Cardinale, Il Mulino, 2021, pagine 240, euro 18