Peter Thiel era deluso dalla Slicon Valley già nel 2011. Al giornalista del New Yorker che lo intervistava mostrava il suo smartphone e diceva: «questa non è innovazione». Le speranze che il miliardario fondatore di PayPal e Palantir aveva riposto nelle possibilità di cambiamento generate dalla tecnologia erano ogni volta frustrate: era diventato ricco, sì. Ma non erano stati creati abbastanza posti di lavoro, non si era vista alcuna rivoluzione nella produttività e internet, senza dubbio una cosa positiva, «non è niente di che». La Apple aveva innovato, ma soprattutto nel design, e Twitter non risolveva quasi nulla.
Questo dieci anni fa. Nel frattempo è intervenuto a finanziare idee, società e startup tra cui SpaceX, AirBnb e Spotify, fino a scivoloni della politica nazionale appoggiando Donald Trump nelle elezioni e diventando, dopo la sua vittoria, consulente per la tecnologia. Il suo sogno però è quello di risolvere con l’innovazione le grandi sfide dell’umanità. Tra queste c’è la sconfitta della morte. Per la precisione, la sconfitta «dell’ideologia dell’inevitabilità della morte per ogni individuo».
Vivere in eterno si può, a suo avviso. O meglio, si potrà: la sua società di venture capital Founders Fund è sempre pronta a investire in questa direzione. Prima per il sequenziamento del Dna, poi per esperimenti di parabiosi, che consiste nel collegamento biologico di due esseri viventi. Nella vulgata è diventato quasi subito il progetto di Thiel di prendere il sangue dei giovani per curare i segni dell’invecchiamento.
È una battaglia condivisa. Larry Page, fondatore di Google, ha fondato Calico, la cui mission, recita il sito, è «semplice e ambiziosa»: studiare i meccanismi che regolano l’invecchiamento e che «sono alla base della durata della vita. Vogliamo usare le conoscenze che acquisiamo per trovare e sviluppare sistemi che aiutino le persone a vivere più a lungo e in salute».
Anche Jeff Bezos, fondatore di Amazon, scommette sui miglioramenti che può fare Altos Labs, startup che lavora a una tecnologia per la riprogrammazione biologica. Le cellule possono smettere di invecchiare, sostiene, il loro processo può essere invertito fino a ringiovanire. In questo modo non solo si allungherebbe la vita umana, ma migliorerebbe anche. Nel team della società c’è lo scienziato spagnolo Carlos Izpisua Belmonte, il nome più noto nel campo della medicina rigenerativa. Secondo lui la vita umana può essere allungata senza problemi di altri 50 anni.
Un traguardo incredibile ma non ancora sufficiente, visto che il (barbutissimo) biogerontologo inglese Aubrey du Grey ha fissato il traguardo a mille anni, sostenendo che l’individuo che vivrà così a lungo è perfino già nato (chi sarà?). L’invecchiamento consiste, nella sua analisi, in un accumulo di inefficienze del metabolismo che l’organismo non è in grado di eliminare. Problemi cellulari ed extracellulari si sommerebbero nel tempo rendendo il corpo sempre più debole e vulnerabile alle malattie. Questo perché l’eternità sarebbe cercata più a livello di specie, con la riproduzione, che a livello di individui. Andare a impedire questi danni sarebbe la ricetta per una vita immortale (ma molti scienziati si dimostrano scettici).
Come ricorda questo articolo del Financial Times, sono numerose le vie tentate per contrastare il tempo che passa: trattamenti con il plasma, la riprogrammazione del Dna, intervento sulle cellule dei tessuti, la stampa di organi nuovi, la crioconservazione, il trasferimento della coscienza su supporti digitali da reimpiantare in corpi nuovi. L’obiettivo è quello di vivere sempre, per sempre.
Le critiche abbondano: è un programma narcisistico, una prevaricazione dei limiti della natura, un processo ingiusto perché riguarderà solo una classe (i super-ricchi). Una sorta di oltraggio generale. Alcuni suggeriscono che ci sarebbero anche controindicazioni: noia, stanchezza, perdita di senso. L’identità umana è radicata nella consapevolezza della sua mortalità: agisce sapendo di avere un tempo limitato, che è la condizione essenziale per fare scelte e prendere decisioni. Ogni scelta definisce la persona e il senso della sua esistenza. Tolto questo limite, scompare anche la necessità di decidere e si potrà, in poche parole, fare tutto o tentare di fare tutto.
La fine della vecchiaia non sarebbe soltanto l’allungamento della vita, ma anche la nascita di una forma di umanità nuova. La cui identità, cangiante e indefinita, scomparirebbe nella nebbia del tempo. I miliardari della Silicon Valley lo avranno considerato?