Diciottesimi La cipolla caramellata è maggiorenne

Il piatto cult dello chef Davide Oldani spegne 18 candeline oggi e dimostra come un’idea di gusto perfetta ed equilibrata possa mantenersi nel tempo e diventare una ricetta tradizionale pur essendo nata nell’epoca contemporanea

CREDIT MAURO CRESPI

Si chiamano signature dish e sono i piatti icona che definiscono la cucina dei grandi chef. Ricette che hanno segnato la carriera, che identificano il tipo di cucina di ciascuno, che riescono al solo evocarli a riportarti a una regione, a un luogo, a un ristorante specifico, e alla sua filosofia.

Alcuni di questi rimangono nel tempo, inossidabili, e diventano parte imprescindibile dell’esperienza gustativa di un determinato professionista. Non potremmo andare dai Cerea senza mangiare i paccheri, da Nadia Santini senza provare i tortelli di zucca, non possiamo dimenticarci del riso e oro di Gualtiero Marchesi, o del coulant au chocolat di Michel Bras.

Per Davide Oldani il piatto icona, che ha caratterizzato così tanto la sua cucina da farlo conoscere come Signor Cipolla è un capolavoro di equilibrio dei contrasti: la cipolla caramellata è una mezza cipolla – caramellata, appunto- con un gelato e una spuma al grana e un feuilletage minute, una sorta di sfoglia salata che dà il tocco croccante al tutto. E questo piatto ha permesso allo chef di portare la sua filosofia fino alle aule di Harvard, dove ha spiegato come un’iniziativa imprenditoriale nata da un ossimoro – l’alta cucina pop, appunto – poteva scardinare le regole canoniche della ristorazione tradizionale.

Un passato di altissima cucina alle spalle, quando Oldani ha aperto il suo D’O a Cornaredo non esisteva il mondo del food come lo conosciamo adesso. E di sicuro nessuno chef di rango avrebbe mai messo una cipolla nel suo menu. Oldani ha avuto la forza e l’ardire di osare, costruendo un menu partendo da materie prime pop, trattate però con la tecnica e la professionalità della più alta scuola. Quello che ne è uscito è un piatto, ma potremmo dire una intera filosofia, che fin dai primi assaggi ha portato le persone in pellegrinaggio a San Pietro all’Olmo, frazione di Cornaredo, per scoprire questo perfetto equilibrio tra caldo freddo, morbido e croccante, dolce amaro che si sprigionava a ogni boccone.

«L’avrei voluta mettere come dolce, ma all’epoca una cipolla nei dessert sarebbe stata davvero troppo d’avanguardia» ci racconta lo chef: «La misi invece come antipasto, per rispetto dei miei clienti e della cadenza classica del menu e venne apprezzata moltissimo fin da subito. La mia soddisfazione più grande è arrivata qualche anno dopo: le persone che se ne sono innamorate ne ordinavano due, una all’inizio e una alla fine del pasto. Senza forzare la mano, la mia idea era stata concretizzata direttamente dai miei ospiti».

Ma da allora ad oggi sono passati esattamente 18 anni, e la maturità ha portato a un cambio estetico di questo grande classico contemporaneo, ma senza nessuna variazione alla sua sostanza: «È partita da una semplice cipolla, l’abbiamo portata avanti e piano piano l’abbiamo affinata» prosegue lo chef. «Oggi non è più la mezza cipolla sul piatto, ma è un concentrato delicato e leggero della cipolla, ma con il gusto originario dell’originale. Il passaggio dal piatto al bicchiere non ha modificato in alcun modo la sostanza: degustandole ad occhi chiusi si ritrova la stessa eleganza, ma oggi è migliorato l’approccio per il commensale, che può mangiarla concentrando in un un’unica azione il suo boccone. E poi quello che ci permette di ottenere questa nuova versione è una maggiore costanza. La base di gelato al grana stagionato 24/26 mesi ci permette di calibrare bene il sapore su ogni uscita, piazzando il piatto».

CREDIT MAURO CRESPI

L’attenzione al dettaglio è maniacale, e nulla è lasciato al caso, anche grazie a un costante e continuo lavoro di gruppo che qui è sempre stato un mantra: «Il D’O non è mio ma è loro, è della squadra. È appartenenza alla maglia. È un modo di pensare e di vivere, una community 4.0 per tutti gli aspetti di organizzazione, di lavoro, di retribuzione. Quello che voglio è continuare nel nostro impegno, per diventare sempre più artigiani. Quello che fa davvero la differenza – per me – è arrivare a essere felici di ogni cipolla che sta uscendo dalla cucina in sala e di riuscire a donare a chi la assaggia per la prima volta o a chi la mangia da 18 anni la stessa sensazione di equilibrio dei contrasti che costruiamo con rigore e determinazione da sempre».

Di sicuro continua a portare con sé quella grinta e quell’energia che aveva il giovane Oldani quando, diversi anni prima di aprire il suo ristorante, fece assaggiare per la prima volta la torta di cipolle alla sua amica Paola Ricas, che l’apprezzò al punto di spingere quel ragazzo così volenteroso a perfezionare il piatto fino a farlo diventare parte della sua fortuna.

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