Cancel democracy I cinesi imitano i talebani e abbattono la scultura sui morti di Tienanmen

L’università di Hong Kong sta per distruggere un’opera che commemora le vittime del massacro di Pechino. Un articolo di Eli Lake pubblicato sul sito della giornalista americana Bari Weiss ci ricorda che «quel monumento rappresenta tutti i crimini e gli orrori che i tiranni desiderano rimuovere dalla nostra memoria»

Lapresse

Volti e corpi angosciati, deformati, accatastati uno sull’altro in una colonna di argilla, bronzo e cemento. Le espressioni distorte di 50 manifestanti ricordano le forme nei disegni di Cathe Kollwitz e “L’urlo” di Edvard Munch. “Pillar of Shame” è un monumento di otto metri dedicato alle vittime della repressione dell’esercito cinese in piazza Tienanmen. L’opera dello scultore danese Jens Galschiøt è stata donata all’Università di Hong Kong nel 1997, in occasione dell’ottavo anniversario del massacro.

Dopo 24 anni, la sua permanenza è in pericolo: l’ateneo dell’ex colonia britannica vuole che quest’opera d’arte venga rimossa, probabilmente distruggendola. In realtà la rimozione sarebbe dovuta avvenire mercoledì 13, ma il tifone che sta colpendo Hong Kong ha posticipato l’evento.

È l’ennesimo attacco del Partito Comunista Cinese alla democrazia hongkonghese. Un’aggressione vera e propria raccontata da Eli Lake, editorialista di Bloomberg e membro del Clements Center for National Security dell’Università del Texas, sul sito della giornalista Bari Weiss.

«Ciò che sta accadendo proprio ora a Hong Kong – si legge nell’articolo – non è molto diverso dai talebani che distruggono due Buddha scolpiti nel calcare dalla scogliera di una montagna. Oggi, il regime cinese sta usando la copertura del sistema legale di Hong Kong, un tempo luogo indipendente, per contrastare un’immagine e un’idea che ritiene pericolosa». Cioè l’idea di uno Stato democratico e autonomo.

Non è un caso che a ospitare l’articolo sia il sito di Bari Weiss. Un anno fa la giornalista e opinionista statunitense aveva deciso di abbandonare il New York Times perché, a suo dire, era diventato impossibile lavorarci a causa di un pensiero dominante che non può essere messo in discussione (lo avevamo raccontato anche qui a Linkiesta).

Nell’articolo Eli Lake spiega che martedì, in una email, Jens Galschiøt aveva esortato gli hongkonghesi ad andare all’Università di Hong Kong nel caso in cui la scultura venisse distrutta, per raccoglierne i resti: l’idea è quella di riutilizzare i frammenti per creare qualcosa di nuovo, qualcosa che trasmetta il messaggio «l’impero passa, ma l’arte persiste».

L’Università di Hong Kong, che è un’istituzione statale ed è a tutti gli effetti un’estensione di Pechino, è rappresentata dallo studio legale internazionale Mayer Brown, che ha la sede principale a Chicago. «Il Partito Comunista Cinese ha scelto uno studio americano per cancellare la storia del movimento democratico cinese e gli innumerevoli studenti, scrittori, artisti e attivisti clandestini che hanno dato la vita per la causa della libertà», scrive Lake nel suo articolo.

Il 7 ottobre, Mayer Brown aveva informato l’Alleanza di Hong Kong a sostegno dei movimenti democratici patriottici in Cina – ormai sciolta: la maggior parte dei membri sono stati arrestati per aver commemorato illegalmente Tienanmen – che aveva poco tempo per rimuovere la statua se avesse voluto preservarla.

Lo scultore danese, che ha impiegato tre anni per realizzare “Pillar of Shame”, ha criticato direttamente lo studio legale: «Se aiuti il governo cinese nei suoi crimini e dici sul tuo sito web di avere valori americani, beh, la tua morale è corrotta», ha detto Galschiøt.

La maggior parte delle aziende americane che fanno affari in Cina vendono per lo più automobili, iPhone, scarpe da ginnastica o altri beni di consumo destinati alla popolazione cinese. «Mayer Brown invece – è la critica dell’articolo – sta vendendo i suoi servizi a un’università che si piega alla volontà dello Stato cinese».

Lo studio legale fin qui si è limitato a una dichiarazione pubblica piuttosto piatta: «Ci è stato chiesto di fornire un servizio specifico per un nostro cliente, l’Università di Hong Kong. Il nostro ruolo di consulenti esterni è quello di aiutare i clienti a comprendere e rispettare la legge vigente. La nostra consulenza legale non è intesa come commento su eventi attuali o storici».

Solo che la dichiarazione di Mayer Brown pare dimenticare che l’anno scorso, quando la Cina ha riaffermato il suo potere e il controllo su Hong Kong e le sue istituzioni, la cosiddetta «legge attuale» – per usare le porle dello studio legale – è stata brutalmente calpestata.

Da Washington la politica statunitense prova a reagire. La senatrice repubblicana Lindsey Graham si è scagliata contro Mayer Brown: «È molto grave che uno studio legale americano stia facendo gli ordini del Partito Comunista lavorando per cancellare la memoria dei coraggiosi, giovani studenti cinesi che hanno dato la vita per la libertà in Piazza Tienanmen».

Il senatore repubblicano Ted Cruz, che la Cina ha sanzionato l’anno scorso per averla attaccata riguardo la gestione della pandemia e sul genocidio degli uiguri, ha dichiarato: «Le aziende americane che sono complici dovrebbero vergognarsi».

Quella del Partito Comunista Cinese, spiega Eli Lake nella conclusione del suo articolo, «è iconoclastia sponsorizzata dallo Stato, e le sue vittime non sono solo i cinesi costretti a dimenticare la loro storia e il loro retaggio, ma tutti noi, che abbiamo ancora bisogno di ricordare i crimini e gli orrori che i tiranni desiderano cancellare dalla nostra memoria».

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