Al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) italiano e alla sua attuazione è legato il futuro della costruzione europea. Nei prossimi mesi il dibattito europeo sarà incentrato su due questioni:
– La revisione delle regole fiscali: il Patto di stabilità e crescita è stato sospeso all’inizio della pandemia fino al 2023 e oggi si discute se e come re-introdurlo. Se ne è parlato durante la campagna elettorale tedesca, illustri economisti si sono pronunciati e hanno presentato blueprint di riforma, la Commissione europea ha aperto una consultazione pubblica sulle possibili modifiche. Intanto le cancellerie hanno già cominciato a negoziare la nuova architettura;
– Il futuro del NextGenerationEu (NGEU), e in particolare della Recovery and Resilience Facility (RRF): si discuterà se considerarlo un programma one off – eccezionale risposta a un eccezionale evento – oppure se diventerà permanente, con le dovute modifiche. Questa seconda ipotesi renderebbe permanente la capacità di emissione di debito comunitario oltre i circa 150 miliardi annui previsti dall’attuale programma.
Le due questioni sono peraltro collegate, non solo nelle trattative diplomatiche, ma anche nella sostanza della politica economica: la messa a regime della RRF implicherebbe probabilmente una fiscal stance comune, che avrebbe un impatto sull’applicazione delle nuove regole. Questi temi non solo si intrecciano tra loro, ma si intrecciano attorno al nostro Paese. L’Italia è infatti il “litmus test”, la “pièce de résistence” del successo o dell’insuccesso di questa embrionica unione fiscale europea. In termini quantitativi l’Italia è il primo Paese beneficiario di NGEU (circa 191 miliardi). In termini qualitativi è il vero osservato speciale, date le riforme strutturali e gli investimenti che da tempo necessita per alzare la linea di base della crescita, così anemica negli ultimi 20 anni. Tutto questo spiega la spasmodica attenzione sia in Italia sia in Europa per il nostro Pnrr e la sua attuazione.
NextGenerationEu
Tra maggio e luglio 2020, subito dopo la prima ondata di Covid-19 e durante la genesi di NGEU, questo programma sembrava concepito precipuamente come uno strumento per facilitare la ripresa economica dei Paesi Ue più colpiti dall’epidemia, che in larga parte coincidevano con quelli in maggior difficoltà già prima del 2020 (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia). Oggi seppure rimanga importante su questo versante, vuoi come sostegno diretto ai conti pubblici deteriorati, vuoi come segnale di risk-sharing tra i Paesi europei, NGEU è divenuto piuttosto uno strumento per facilitare i cambiamenti strutturali dell’economia europea nel medio periodo.
Anzitutto per una questione temporale: i primi finanziamenti NGEU stanno arrivando in queste settimane e termineranno nel 2026. Di contro, anche i Paesi europei più colpiti dal Covid dovrebbero completare la ripresa economica nella prima metà del 2022. Non solo, considerando i maggiori beneficiari di NGEU, le risorse rese disponibili annualmente dal programma, niente affatto esigue (in Italia 191,5 miliardi su 6 anni, al più il 2,5-3,0 per cento del Pil ogni anno), sono comunque piccole se comparate agli stimoli fiscali approvati dai governi nazionali nel 2020 e nella prima parte del 2021 (in Italia l’8,5 per cento del Pil secondo l’Fmi) e agli acquisti di titoli di Stato da parte della Bce nello stesso periodo (in Italia oltre il 10 per cento del Pil). In altre parole, la risposta alla pandemia è stata sostenuta quasi esclusivamente dai bilanci degli Stati nazionali e dalla politica monetaria della Bce.
Pnrr italiano riforme e investimenti
Detto questo, NGEU avrà un ruolo fondamentale per l’Italia per due ragioni: allenterà la pressione sui conti pubblici e dovrà essere l’occasione di affrontare i problemi strutturali dell’economia.
Il primo punto ruota attorno alla sostenibilità del debito pubblico. L’incremento di quest’ultimo fino a quasi il 160 per cento del Pil nel 2020 rende i conti pubblici italiani sensibili alle fluttuazioni dei tassi d’interesse pagati dai titoli di Stato. In questo senso, i fondi NGEU consentiranno di sostenere una parte della spesa pubblica, quella relativa agli investimenti, alleggerendo il ricorso al finanziamento sul mercato.
Il secondo punto è ancora più specificamente italiano: negli ultimi due decenni la nostra economia è stata poco dinamica, crescendo molto meno di quelle di Paesi comparabili. Il programma vincola gli Stati a utilizzare le risorse per investimenti, evitando che siano utilizzate per spesa corrente. Inoltre NGEU vincola gli Stati in termini di: obiettivi per questi investimenti (transizione ecologica, competitività, coesione sociale); riforme complementari; e tempistiche dell’esecuzione. Il governo italiano, presentando il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), si è impegnato con la Commissione Ue non solo a utilizzare tempestivamente i fondi in base a scadenze concordate, ma anche a introdurre e rendere operative, da qui al 2026, una serie di importanti riforme strutturali (PA, giustizia, educazione, semplificazione e concorrenza), generalmente considerate necessarie da ben prima della pandemia.
Alla luce di quanto detto, le riforme potrebbero rivelarsi più importanti degli stessi fondi. L’impegno preso in sede europea potrebbe essere decisivo per affrontare in maniera definitiva alcuni nodi strutturali dell’economia italiana, contribuendo a innalzarne il potenziale di crescita nel medio-lungo periodo. Non solo, le riforme di PA e semplificazione sono necessarie anche per garantire che le amministrazioni pubbliche riescano a gestire le risorse europee.
Più in generale, l’effetto sull’economia degli investimenti previsti dal Pnrr sarebbe massimizzato e prolungato qualora tutte le riforme fossero implementate adeguatamente. Di contro, un aumento degli investimenti non accompagnato da riforme costituirebbe soltanto uno stimolo temporaneo dell’attività economica. Vi è quindi un legame inscindibile tra riforme e investimenti: le riforme strutturali abilitano gli investimenti e gli investimenti facilitano riforme.
I rischi nell’attuazione del Pnrr
Ad oggi l’attuazione del Pnrr, approvato definitivamente in estate da Commissione e Consiglio Ue, è ancora agli inizi, con le prime scadenze in arrivo a fine anno, molte delle quali concernenti proprio le riforme di PA, giustizia e concorrenza. Per questo motivo è ancora troppo presto per esprimere un giudizio sull’efficacia delle riforme approvate.
Certamente le intenzioni del governo e i traguardi posti dalla Commissione Ue sono ambiziosi. In particolare, per quanto riguarda la PA, i principali interventi riguardano la gestione del personale, la sburocratizzazione e la digitalizzazione. In ambito di giustizia, le priorità di governo e Commissione sono la riduzione dei tempi di giudizio e una riforma dell’ordinamento giudiziario. Per quanto riguarda la semplificazione, sono stati individuati diversi ambiti specifici (ad esempio i contratti pubblici e la procedura di “VIA”) su cui intervenire pressochè immediatamente, anche in funzione abilitante degli investimenti del Pnrr. Infine, anche nel campo della concorrenza sono già stati indicati gli ambiti specifici e la direzione dei futuri interventi (ad esempio public utilities e rafforzamento dell’antitrust).
Queste dichiarazioni di intenti del Pnrr sono accompagnate da centinaia di obiettivi concordati con la Commissione Ue, sia intermedi sia di risultato, sulla base dei quali saranno valutati i progressi del Pnrr italiano. Il fatto che il governo abbia messo nero su bianco le riforme che intende perseguire e si sia impegnato in sede europea a introdurle e a raggiungere una serie di risultati quantificabili non rimuove l’incertezza intorno a questo processo. Certamente esiste un incentivo generato della combinazione di risorse e condizionalità: in caso di inadempimenti da parte italiana, il supporto finanziario proveniente dall’Ue potrebbe essere ritardato o ridotto. Tuttavia, in ultima istanza le riforme in questione dovranno essere volute dai governi nazionali e approvate dai Parlamenti.
Inoltre, le scadenze concordate con la Commissione Ue sono appunto sfidanti, il che aumenta la probabilità che l’accordo politico per le riforme più controverse sia raggiunto in ritardo. Uno scenario del genere è sicuramente preferibile a uno in cui il processo di riforma fallisce, ma sarebbe comunque fonte di incertezza, sia interna che in sede Ue. Questa incertezza potrebbe manifestarsi anche sui mercati e quindi sui conti pubblici. Non solo, se alcuni degli interventi “in ritardo” rientrassero tra quelli necessari per un’attuazione adeguata del Pnrr, allora anche la qualità della spesa potrebbe risentirne. Per questo è probabile che il frontloading degli interventi specifici per l’attuazione del Piano sia stato pensato proprio per scongiurare questo rischio.
Partenariato pubblico privato
Il coinvolgimento dei soggetti privati – non solo in termini puramente economici – dovrebbe rappresentare un asse portante nell’attuazione degli investimenti del Pnrr, come garanzia di redditività e resilienza nel tempo degli interventi finanziati. In certi settori, ad esempio infrastrutture, rigenerazione urbana, ed energia, la componente privata è migliore garanzia di disciplina, rigore e sostenibilità nel lungo termine.
Il Pnrr dovrebbe quindi basarsi sulla consapevolezza che il connubio pubblico-privato è una necessità che ben si sposa e che, anzi, dovrebbe essere il frutto, delle riforme che accompagnano il piano di investimenti del Pnrr. Le ingenti risorse europee possono attrarre risorse private con un effetto moltiplicatore quantitativo e qualitativo, specie se si privilegia un approccio selettivo a determinati settori e progetti. In questo modo si potranno moltiplicare le risorse e ridurre il rischio di investimenti improduttivo e sprechi.
Conclusioni
In conclusione, NGEU e il Pnrr dovrebbero essere concepiti e gestiti come opportunità per attuare le riforme finora mancate, in modo da rilanciare la crescita economica nel medio-lungo periodo, piuttosto che una semplice occasione di aumentare transitoriamente la spesa pubblica per investimenti.
Negli ambiti di PA, giustizia, semplificazione e concorrenza il Pnrr delinea interventi tanto necessari quanto ambiziosi. Questo costituisce un elemento di incertezza per l’intero Pnrr, la cui riuscita, anche per quanto riguarda gli investimenti, dipende a sua volta dalla qualità delle riforme, in particolare PA e semplificazione. Inoltre, per aumentare la probabilità che il Piano abbia un impatto positivo di lungo periodo, sarebbe necessario coinvolgere nell’implementazione le imprese, vista la difficoltà intrinseca nel completare un numero di investimenti e riforme così elevato in poco tempo. Le numerose condizioni concordate con la Commissione Ue che l’Italia dovrà rispettare nell’implementazione del Piano potrebbero essere un’arma a doppio taglio: da una parte costituiscono un chiaro incentivo a mantenere gli impegni presi, dall’altra, qualora si verificassero ritardi (per esempio in fase di approvazione delle riforme), potrebbero compromettere il flusso di risorse dall’Ue verso l’Italia.
Contemporaneamente, il Pnrr dovrebbe essere l’occasione per introdurre una cultura della partnership pubblico-privato in settori quali infrastrutture, rigenerazione urbana, sostenibilità, capace di moltiplicare le risorse pubbliche e di fornire disciplina agli investimenti pubblici. In questo senso, è da ritenersi benvenuta qualsiasi iniziativa che veda la partecipazione del settore privato e più in generale della società civile nelle sfide del Pnrr. Forte ne sarebbe il valore aggiunto.