Per risolvere la crisi alimentare globale servono innovazioni: varietà di semi che possono resistere meglio alla siccità, colture che possono combattere meglio le malattie e scoperte rivoluzionarie che portino a raccolti migliori. Più facile a dirsi che a farsi, ovviamente. Ma se provassimo a lavorare per migliorare la natura? Se la fotosintesi potesse essere velocizzata e potesse diventare un veicolo più potente di crescita per le piante?
Due miliardi di anni fa la maggior parte della terra era coperta dagli oceani, che pullulavano di microbi. Alcuni di questi microbi, i cianobatteri, vivevano di luce solare e la convertivano in zucchero. Come prodotto di scarto, emettevano ossigeno. I cianobatteri erano così abbondanti e così bravi in quello che facevano che hanno cambiato il mondo. Hanno alterato la chimica degli oceani e poi quella dell’atmosfera, creando abbondante ossigeno. Un giorno, un altro organismo, una specie di proto-alga, divorò un cianobatterio. E lui, invece di morire, resistette nella nuova sistemazione e diede alla vita una nuova direzione. Il segreto della fotosintesi è passato all’alga e a tutti i suoi eredi.
La fotosintesi è rimasta relativamente stabile nel corso di migliaia di millenni di selezione naturale. Non è cambiata quando gli umani hanno iniziato ad addomesticare le piante, diecimila anni fa, o, più tardi, quando hanno capito come irrigare, fertilizzare il terreno e, infine, ibridarle. Ha sempre funzionato abbastanza bene da alimentare il pianeta, almeno fino ad ora.
Stephen Long è professore di biologia vegetale e scienze delle colture presso l’Università dell’Illinois Urbana-Champaign e direttore di un progetto chiamato Realizzazione dell’efficienza fotosintetica aumentata, il cui acronimo è Ripe. La premessa di Ripe è che, per quanto efficiente possa essere la fotosintesi, deve e può fare di meglio. La fotosintesi è stata definita “uno dei più complessi tra tutti i processi biologici” e quando Long ha iniziato non si sapeva bene come funzionasse. Ma più si scopriva la complessità della fotosintesi, più si rivelava la sua inefficienza.
In fondo, come dice lo scienziato: «L’evoluzione non comporta l’essere produttivi. Per l’evoluzione è sufficiente portare i propri geni alla prossima generazione». Insomma, la fotosintesi, da sola, non ha ragione di migliorarsi.
Ma migliorare la fotosintesi divenne l’obiettivo di Long, e grazie ai suoi studi e all’incontro con uno scienziato della Nasa lo scienziato è riuscito a sviluppare un modello matematico che richiede una quantità importante di potenza di calcolo. Si chiama e-fotosintesi, e permette al gruppo di lavoro di sondare i punti deboli della fotosintesi e testare possibili soluzioni innovative. Naturalmente, novantanove volte su cento si peggiorano le cose, ma una volta su cento si riesce a capire che modificando alcuni passaggi, la natura potrebbe essere migliorata.
Ovviamente, a questo punto entrano in gioco domande etiche: perché se possiamo, e abbiamo gli strumenti scientifici per farlo, è giusto che lo si faccia? Qualcuno si chiede se bastino gli scienziati, per un progetto così, o se invece debbano intervenire nello studio anche antropologi, economisti, medici, studiosi e intellettuali. Purtroppo, non ci sono miracoli in agricoltura, e anche se la produzione potesse stare al passo con la crescita della popolazione, rimarrebbe il problema della distribuzione, del colmare il grande divario globale tra i paesi ricchi, che vivono in un lusso mai sperimentato prima, e i poveri, che mandano i loro bambini a letto affamati. Ma se la scienza può migliorare la situazione, non è forse altrettanto anti-etico decidere di fermarla?
Non risolveremo i nostri dubbi oggi, ma decidere di aprire la mente verso altre forme di scienza applicata alla natura potrebbe essere un primo passo verso la fine della malnutrizione.