Tra le battute più famose recitate a memoria da fan e non di Gomorra, c’è sicuramente quell’altezzoso «Du’ Frittur» pronunciato da Salvatore Conte in una puntata della prima stagione. Lui stesso, tra un omicidio e l’altro, si crogiola in ricchi pasti della tradizione campana, a partire dai manicaretti della mamma. A lei dice: «Mammà, tu avisse partecipa’ a ‘nu programma ‘e cucina dint’ ‘a televisione».
Tuttavia, il cibo non ruba spazio ad ammazzamenti e conciliaboli: nel corso degli anni, con lo snodarsi delle stagioni, pranzi, cene e piatti della tradizione hanno svelato una funzione narrativa importante, sempre a sostegno di un’altra fame, quella di potere.
Venerdì 19 novembre sono andate in onda le prime due puntate di Gomorra. La Stagione Finale, ultimo atto della serie cult Sky Original, prodotta da Cattleya in collaborazione con Betafilm. Nata da un’idea di Roberto Saviano, la serie è stata scritta da Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli. Proprio a lei abbiamo chiesto di raccontare cosa mangiano – e se mangiano – i protagonisti di Gomorra. Del resto, siamo in Campania, patria della buona cucina, della pizza e delle sfogliatelle. Quindi la domanda era più che legittima.
Ostentazione del potere o negazione
La quinta e ultima stagione si apre con un incontro tra Ciro Di Marzio (Marco D’Amore) e Genny Savastano (Salvatore Esposito), ormai contrapposti, legati però da un affetto antico. I due sono in un ristorante, a Riga. Davanti a Genny c’è un piatto intonso. Ciro invece è riuscito a spiluccare qualcosa. Questo fotogramma spiega il mondo in cui i due protagonisti vivono, «un universo concentrazionista dal quale è impossibile uscire – spiega Maddalena Ravagli – in cui tutto quello che è piacere è negato, quindi anche il cibo o è ostentazione del potere oppure è negazione dello stesso».
Durante la stesura delle sceneggiature Ravagli e Fasoli sono stati a contatto con persone che hanno fatto parte delle paranze, gruppi di killer utilizzati per azioni di fuoco. Sono stati proprio loro a offrire agli scrittori la giusta angolazione sull’alimentazione e sul valore del cibo per un criminale. «Una delle persone con cui abbiamo parlato, un uomo che era stato in carcere per aver commesso diversi omicidi, ci ha raccontato che nei gruppi chi non muore per atti criminali, si consuma a causa del cancro all’intestino. In più, prima di fare un’azione, nessuno mangia: è impossibile ammazzare qualcuno e trattenere qualsiasi cosa nello stomaco. Questa negazione è vissuta con la consapevolezza di non meritarselo, quel cibo».
Al contrario, quando si mangia, in Gomorra lo si fa con abbondanza. «L’ostentazione del cibo coincide con l’ostentazione del potere». Infatti, all’inizio della prima stagione, la famiglia Savastano viene presentata sullo schermo durante un pranzo di famiglia. Genny mangia in modo godurioso, abbondante, rumoroso. Rutta, perfino. In quel momento, il ragazzo non è ancora stato messo alla prova dalla vita criminale, ma ciò non impedisce ai genitori di fissarlo con disgusto. «In quel momento il suo approccio al cibo è naif, ma Pietro e Imma non riescono a trattenere la propria contrarietà perché sanno che il loro, è un mondo in cui non è concesso godere del cibo».
Cosa mangiano i personaggi di Gomorra
L’arco narrativo di Genny Savastano è molto lungo e in ogni stagione il suo rapporto con il cibo cambia. Da giovane ha un approccio godereccio, quasi esagerato. Secondo Ravagli, il piatto simbolo di questo momento è la pasta al forno napoletana, quella con polpette e tanto di più dentro. Quando decide di uscire dalla morsa criminale della sua storia di famiglia, nella quarta stagione, si mette a dieta. Ma anche se si impone di non mangiare, ha fame. Quando poi, messo alle strette, decide di tornare nella sua vera pelle, lui non è più lo stesso e, di fatto, non mangia più.
Azzurra Avitabile (Ivana Lotito) non viene mostrata in relazione al cibo, quanto all’atto di cucinare con suo marito Genny. Sono compagni, complici, coniugi e nell’atto di cucinare insieme si mostrano. «Quando Genny decide di tornare alla sua vita di prima, lei smette di mangiare con lui, troncando di fatto la loro complicità rappresentata anche dal consumo condiviso del cibo».
All’inizio della terza stagione Ciro Di Marzio si trova a Riga. È una specie di zombie, che si destreggia tra lavoro e uno scheletro di casa ancora in costruzione. L’unico momento di vitalità gli si riconosce addosso quando gli arriva un pacco dall’Italia, con dentro spaghetti, pomodoro e basilico. Cucinando questo piatto, ricorda sua moglie e sua figlia.
Il cibo simbolo di un altro protagonista di Gomorra, Enzo Sangue Blu (Arturo Muselli), è la pizza che l’adorata sorella gli prepara nella sua pizzeria, a Forcella. A lui si associano anche i crocché e la birra. Anche in questo caso, come per Genny e Azzurra, il cibo sancisce e custodisce il legame famigliare, quello in cui spogliarsi di tutte le inquietudini.
I piatti clou della serie
L’accostamento del francesismo “Deux” con una cosa molto napoletana come la frittura è tra le scene clou dell’ostentazione del potere. L’invito a fare “Pèsce e Pèsce” come sfottò alla cantante transessuale durante una cena di compleanno, con tanto di sperlunga in mano, è un modo di celebrare la crasi tra cibo e linguaggio, che in Campania è più forte che mai. Un altro alimento tipico, che in Gomorra ricopre un ruolo narrativo importante, è il caffè. «È il banco di prova dei rapporti, l’ho provato sulla mia pelle – ricorda la sceneggiatrice – Durante i nostri sopralluoghi a Secondigliano, ho scoperto che (almeno prima del Covid) non si prende mai un caffè solo per sé. Ce lo si passa. Risultato? Un sorso alla volta, alla fine della giornata, ne hai presi dieci».
Le Sfogliatelle diventano il simbolo di un momento di tenerezza e vicinanza tra Patrizia e Azzurra, che in pasticceria usano il dolce come terreno comune. La Parmigiana di Melanzane consumata in prigione da Don Pietro e Lelluccio è un modo di raccontare una consuetudine reale. Infatti, insieme al Gâteau di patate, sono piatti che si conservano a lungo, succulenti, da preparare in quantità e conservare gelosamente in cella.
Tra i piatti tipici della tradizione napoletana, durante la sua latitanza Genny Savastano utilizza la Genovese per costruire un terreno comune con la donna che lo nasconde. Di solito i boss che si nascondono offrono uno stipendio alle famiglie, solitamente di anziani, che li ospitano in camere nascoste. È essenziale che non cambino abitudini e che non varino i propri consumi. Per la Genovese, oltre alla carne, si aggiungono tantissime cipolle, facili da far passare inosservate.
E Genny, ricordando la succulenza dei piatti della sua vita di prima, quella in cui il crimine era sullo sfondo, chiede alla signora che ricetta segue per fare la Genovese, se anche lei, come sua madre, usa l’annecchia. Si tratta della punta di scamone, un taglio prelibato il cui nome viene usato anche per definire altre cose buonissime, alimentari e non. La Genovese si trasforma dunque in una malinconica e commovente madelaine proustiana.