In Iraq erano mezzo milione, adesso – ma le stime sono più complicate – soltanto 15mila. In Siria sono in calo da anni, a causa della guerra e della repressione, mentre in Egitto sono sottoposti a discriminazioni ed esclusioni specifiche. A Gaza, dove un tempo erano totalità, sono soltanto 800. I Cristiani in Medioriente sono sempre di meno. Scompaiono, spiega la scrittrice, giornalista e reporter di guerra Janine Di Giovanni, senior fellow del Jackson Institute for Global Affairs della Yale University e soprattutto autrice di “The Vanishing”, libro che documenta la diminuzione progressiva della presenza cristiana in aree dove sono presenti da duemila anni.
Come spiega al podcast di Haaretz, «È un declino evidente e rapido», che ha potuto riscontrare con i suoi viaggi e la sua frequentazione delle comunità cristiane mediorientali. «In Iraq è difficile avere cifre chiare, a causa dei danni dello Stato Islamico. Ma l’ultimo censimento è stato fatto 30 anni fa». Si tratta di popolazioni che, soprattutto con l’Isis sono state colpite con durezza. Venivano obbligate ad andarsene (ma adesso cercano di riprendersi i villaggi) oppure a convertirsi all’Islam. «Molti hanno scelto di non farlo, anche se l’alternativa era la morte. Per loro la fede è un tratto fondamentale, importantissimo per la loro identità». Anche più della vita stessa.
In Siria la popolazione cristiana è quasi dimezzata dall’inizio della guerra. I più colpiti sono stati gli armeni. «Sono stati presi a bersaglio dai raid turchi, che li considerano nemici. Molti di loro sono dovuti scappare, hanno abbandonato Aleppo, la città in cui sono più numerosi, per andare in Armenia. Un Paese in cui, nonostante la tradizione, tanti non sono nemmeno mai stati».
In Egitto i copti hanno una lunga storia di persecuzioni e discriminazioni, punteggiati da scontri ed episodi di violenza. Solo nel 2021 un monaco è stato giustiziato senza processo e un copto è stato ucciso da alcuni militanti Isis nel Sinai. Ma anche le autorità non vanno per il sottile, tanto che nel 2018, a causa di un litigio, due copti erano stati uccisi da un poliziotto a guardia di una chiesa. «In generale, ai copti non è permesso ottenere ruoli apicali nel governo né nell’esercito», ricorda.
A Gaza, «la situazione è drammatica. I cristiani sono 800, al centro degli attacchi di Hamas (e pensare che una volta erano maggioranza, come dimostrano le chiese e la storia, ricca di santi provenienti da quest’area). La maggior parte sono laureati, professionisti. Dentisti e ingegneri, medici, affossati dalla disoccupazione».
Perché, ricorda, lo scontro etnico-geopolitico non è l’unica causa della decimazione della popolazione cristiana in Medioriente. Un’altra è l’economia, che spinge i giovani a spostarsi, soprattutto in Europa o in America, in cerca di prospettive migliori, «soprattutto quelli che hanno una laurea e di conseguenza possibilità migliori». E la terza è il cambiamento climatico, che riduce gli spazi coltivabili. «Anche se queste sono cause più generali», puntualizza.
Il trend delineato però è chiaro. Il calo è costante e sembra inarrestabile e le autorità internazionali, a parte report e documentazioni, «fanno poco». Colpisce soprattutto come il tema preoccupi poco «le comunità evangeliche americane, più attente a questioni come eutanasia e aborto che allo stato dei loro fratelli cristiani in Medioriente. Questo argomento è più trattato nei Paesi cattolici». Il viaggio del Papa in Iraq, in questo senso, «è stato un messaggio chiaro: al mondo e alle comunità cristiane dell’area. Sapere che il loro dramma è conosciuto è, per loro, la cosa più importante di tutte».
Se non cambia nulla, tra 100 anni i cristiani in Iraq non ci saranno più. Il libro di Di Giovanni, in questo senso, è una sorta di viaggio pre-archeologico, uno studio di popolazioni che presto saranno estinte: insieme a loro scomparirà una tradizione più che millenaria di riti, culti e credenze. Mentre il Medioriente diventerà – ed è una disgrazia – più omogeneo e povero.