Il via libera dell’Aifa Il direttore del Bambin Gesù assicura che il vaccino non ha nessuna controindicazione per i più piccoli

L’Agenzia italiana del farmaco ha dato l’ok alla vaccinazione anti-Covid dai 5 agli 11 anni. Con dose ridotta, un terzo rispetto a quella per gli adulti, e due somministrazioni a distanza di tre settimane, possibilmente «adottando percorsi vaccinali riservati, adeguati all’età»

Cecilia Fabiano/ LaPresse

L’Agenzia italiana del farmaco ha dato il via libera alla vaccinazione anti Covid per i bambini dai 5 agli 11 anni. Con dose ridotta, un terzo rispetto a quella per gli adulti, e due somministrazioni a distanza di tre settimane, possibilmente «adottando percorsi vaccinali riservati, adeguati all’età».

Bruno Dallapiccola, direttore scientifico del Bambino Gesù, dice al Corriere: «Non trovo una sola ragione a sfavore della vaccinazione a questa età». Il medico parla di «un prodotto sicuro ed efficace, capace di fare bene innanzitutto a loro, anche se poi a beneficiarne è tutta la società». Che significa: «Non dover rinunciare a niente di tutto quello fa parte dell’infanzia».

Poi spiega: «Non credo ci possano essere dubbi sulla serietà e il rigore scientifico degli regolatori. Bisogna fidarsi. Ricordo che l’adesione alla campagna sarà completamente volontaria. Tutte le società scientifiche di pediatria hanno pubblicato un documento che prova a fare chiarezza e fornisce ai genitori le informazioni utili», spiega

E a chi è convinto che, prima di avviare la profilassi fra 5-11 anni, si debba aspettare e partire quando, tra non molto, arriveranno i primi dati sull’esperienza di Stati Uniti e Israele due Paesi, risponde: «C’è da chiedersi perché un sistema, come il vaccino, che ha funzionato su miliardi di adulti nel mondo , compresi decine di milioni di adolescenti, non debba essere altrettanto efficiente quando si passa a una età inferiore. È logico aspettarsi tra non molto l’arrivo del vaccino per 6 mesi-4 anni e varrà lo stesso ragionamento».

Dallapiccola si dice favorevole anche all’obbligo, «come per tutti i vaccini per la prevenzione di altre malattie infettive. Il precedente della poliomielite fa scuola. È stata messa al tappeto cominciando a proteggere la popolazione pediatrica. Allora però nessuno protestava. Eppure l’antipolio, conteneva virus attenuato e c’era il rischio che infettasse. In questo caso abbiamo in mano uno strumento che contiene una piccolissima parte del genoma del virus Sars-CoV-2 e non può essere in nessun modo causa di infezione».

Il professore fa anche parte del Comitato nazionale di bioetica. E spiega che il bambino «deve sempre essere informato, come prima di ogni trattamento medico. Non è previsto il suo consenso che è appannaggio esclusivo dei genitori o del tutore. Però la sua opinione va tenuta in conto. L’ideale sarebbe, se ne ha la capacità, fargli leggere un foglio con tutte le spiegazioni, eventualmente reso maggiormente comprensibile ricorrendo a disegni e fumetti, come viene fatto nelle sperimentazioni di farmaci che coinvolgono minori in età scolare».

E se alla fine l’opinione diverge da quella dei genitori? «Il pediatra dovrà saper gestire ansie e preoccupazioni del piccolo, rassicurandolo e, se necessario, invitandolo a tornare un’altra volta. È una condivisione non un’imposizione. I pediatri sanno come fare».

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