Quadrilinguismo elveticoIl neo presidente della Svizzera vuole promuovere l’uso dell’italiano nella Confederazione

Figlio di due immigrati lombardi, Ignazio Cassis è stato eletto a capo del Consiglio federale che presiederà per tutto il 2022. Prima di lui solo altri quattro ticinesi hanno ricoperto questo ruolo

LaPresse

La Confederazione svizzera ha un nuovo presidente del Consiglio federale, e le affinità con la cultura e l’italianità in Svizzera dell’esponente del partito PLR va ben oltre al nome. Ignazio Cassis, ticinese di Sessa, paesino dei monti fra Svizzera e Lombardia, è figlio di due immigrati lombardi degli anni ’60, e può essere definito l’esempio perfetto della carriera dal basso ispirata alla filosofia americana, ma anziché ambientarsi nelle strade di Manhattan, rimane fra lago Maggiore, il lago di Lugano e Berna. 

La sua carriera di medico e politico si ispirano a Dante, come lui ricorda nei discorsi di festeggiamento del Sommo Poeta nell’anniversario di morte del 2021. Promette di dare un ulteriore slancio al quadrilinguismo svizzero, sostenendolo e promuovendo la lingua e cultura italiana nella sua patria, che ricordiamo, è seconda al mondo per presenza italofona. 

Il suo motto rimane «divisi ma uniti» per descrivere la democrazia secolare rossocrociata. Nel raccolto paesino di settecento anime poggiato sulle colline a qualche decina di chilometri dal confine italo svizzero ticinese, dove Ignazio Cassis ha vissuto per una vita, il giorno della sua elezione a presidente del Consiglio federale svizzero nevicava un bel po’. 

La prima grande perturbazione di questo inverno duemilaventuno. Insomma, quando un italofono viene eletto capo nella nazione del formaggio con i buchi, fa nevicare, ovvero è cosa rara. In effetti l’opportunità di ricoprire l’incarico supremo nella Svizzera delle quattro lingue, per un ticinese non capitava da più di due decenni, dal 1998. 

Il capo non capo 
Ventitré anni fa era Flavio Cotti a guidare la nazione, come Primus inter pares figura di prim’ordine ma senza poteri eccezionali, nella democrazia elvetica. Un profilo prettamente di rappresentanza quello ottenuto da Cassis, e che viene eletto ogni anno dall’Assemblea federale e riassegnato annualmente fra i sette rappresentanti del Consiglio. Il ticinese sarà capo per tutto il 2022. 

Prima di lui e Cotti, solo altri tre ticinesi nella storia hanno ricoperto questo ruolo. 

L’esponente, già capogruppo del partito liberale radicale a livello nazionale, viene visto come una figura chiave nei rapporti con l’estero degli ultimi anni. Come ”ministro degli esteri” svizzero, capo del DFAE, è ricordato per le sue posizioni revisioniste, nell’ambito degli accordi quadro che ridisponevano le relazioni fra il paese dei cantoni e l’Unione Europea, tutt’ora allo stallo da circa sei mesi, dopo anni di trattative. Un bersaglio facile per le destre più politicamente avvezze al conservatorismo elvetico. 

Nonostante l’equilibrio che regna nel Consiglio federale attuale, fra esponenti Udc, liberali, democristiani e socialisti, con donne e uomini, non è mancato l’attacco della sinistra e dei verdi negli ultimi anni contro chi può essere considerato, secondo loro, l’anello debole dell’intero Consiglio, prendendo spunto, da una ipotetica bassa adesione al voto durante la sua conferma al Consiglio, (ma altri politici prima di lui hanno totalizzato anche meno voti). Cassis rimane uno degli interlocutori principali nella controversia internazionale fra Stati Uniti d’America e Russia, e molti confermano il suo forte contributo nell’organizzazione delle conferenze di Ginevra fra Biden e Putin di questa estate. 

Nel 2022 inoltre, il programma di conferenze fra stati interessati alla questione russo ucraina farà tappa proprio nel Cantone Ticino, per cercare una difficile mediazione fra le parti. Ed è sempre la diplomazia di Cassis ad aver avuto un ruolo decisivo nella sfera internazionale durante la pandemia.

Nella terra dei cantoni, il primo livello amministrativo del potere centrale ha poteri limitati, per la presenza della forte base democratica su cui è improntato il sistema nazionale, nonché per la presenza dei cantoni e comuni. Infatti al governo centrale spettano compiti limitati, come ad esempio la regolamentazione economica monetaria e l’amministrazione dell’esercito. 

Moltissimi compiti sono invece svolti sul territorio, fra i cantoni e i comuni, che costituiscono il secondo e terzo livello statale. Ma non si può che decretare, una volta tanto, una vittoria per la parte forse più bistrattata dell’intera Confederazione, quella di cultura italiana. Che rimane comunque una vittoria a metà.

La rinuncia alla cittadinanza italiana
Il nuovo presidente discende integralmente da una famiglia italiana. Il padre proveniva da Luino, mentre la madre è di Bergamo. Negli anni 50-60 entrambi si trasferiscono in Svizzera, un periodo turbolento per l’immigrazione, non solo nelle grigie grandi città del nord Italia, ma anche qui nella Svizzera italiana. Ma la storia di Ignazio si distingue da molte altre.  Nato nel 1961, a 15 anni ha ottenuto la cittadinanza elvetica, diventando prima medico con specializzazione in salute pubblica e poi buttandosi in politica, diventano il capogruppo a livello nazionale del Partito Liberale Radicale, partito di centro.

Nel 2017 ha deciso di rinunciare alla cittadinanza italiana durante la campagna per farsi eleggere al Consiglio federale a Berna. «Per me era logico fosse così», commentò al tempo, ma la costituzione svizzera non prevede questo obbligo verso i rappresentanti parlamentari, difatti altri esponenti concorrenti, come Pierre Maudet, franco svizzero, ha deciso di non fare altrettanto. 

Il futuro della lingua italiana in Svizzera
«Il plurilinguismo elvetico subirà un nuovo impulso grazie al lavoro del nuovo Presidente. L’immigrazione delle persone di nazionalità italiana nell’ultimo periodo, sempre in aumento, cresce nei settori bancari, assicurativi o sanitari, e denota un graduale ampliamento di conoscenze della nuova immigrazione di giovani», spiega Diego Erba, coordinatore del Forum per l’italiano in Svizzera, 

«Gli italiani che mi ricordo io negli anni ’60 venivano dal sud, siciliani, calabresi e campani, con una scolarizzazione medio bassa, ma che conservavano un privilegio nel conoscere la lingua italiana. Oggigiorno le nuove immigrazioni di portoghesi, albanesi e di altre nazionalità più distanti non hanno la stessa fortuna di conoscere già la nostra lingua. Ricoprendo principalmente ruoli lavorativi con medio bassa specializzazione si rende indispensabile una politica volta a sostenere la loro progressiva integrazione nella società elvetica»

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