Influencer stagionaleAvere tanti follower non fa vendere più libri. E gli editori lo hanno capito

Billie Eilish è seguita su Instagram da quasi cento di milioni di persone ma il suo volume ha piazzato solo 64mila copie. Come si spiega? Per avere successo non basta affidarsi alle piattaforme, ma serve una strategia ragionata, un po’ di fortuna e (come è ovvio) una bella idea

di Freestocks, da Unsplash

Creare un successo editoriale richiede cura, intuizione, una bella idea e un nome affidabile. Ma da qualche anno viene inserito nell’equazione anche un altro elemento: il seguito social dell’autore. Se i numeri sono alti è facile che la casa editrice scelga di rischiare.

Come ricorda questo articolo del New York Times, non sempre funziona. Il caso della cantante americana Billie Eilish, che vanta 97 milioni di follower su Instagram e 6 milioni su Twitter, oltre a una fama planetaria acquisita grazie alle sue canzoni, è un esempio da manuale: da maggio il libro che ha come titolo il suo nome ha venduto soltanto 64mila copie. Il tutto a fronte di un milione di dollari di anticipo.

Lo stesso era avvenuto con il cantante Justin Timberlake. Nel 2018 il suo libro “Hindsight” era stato comprato per un milione di dollari, ma quando è uscito il cantante aveva alcuni problemi alle corde vocali, per cui non partecipò al tour promozionale. Risultato: 100mila copie vendute in tre anni, un vero fiasco.

E ancora: il libro della parlamentare democratica Ilhan Omar, la quale ha 3 milioni di follower su Twitter, è uscito nel 2020 e ha venduto soltanto 26mila copie.

Certo, nessuno si illude che i numeri dei social si trasformino in automatico in copie vendute e le case editrici del resto puntano a frazioni minime rispetto ai numeri iperbolici delle piattaforme. Tuttavia anche queste aspettative si rivelano, in molti casi, mal riposte. Come ha dichiarato al quotidiano americano un responsabile di Barnes & Noble, «l’unica cosa affidabile è che non sono affidabili».

Le ragioni di questa discrepanza sono varie. Può essere la distanza tra quello che una persona posta sui suoi account social e quello che racconta nel libro (chi segue una influencer di moda per i suoi look potrebbe non essere interessato alla storia della sua infanzia). Oppure è proprio il contrario: il libro dice le stesse cose che si trovano online, e allora nessuno, a parte i fan più accaniti, avverte l’esigenza di comprare un doppione. O ancora: i follower ci sono, ma non seguono davvero i post. Capita spesso che i famosi di qualche anno fa non siano più tanto famosi, ma mantengano comunque un seguito numeroso accumulato in passato.

Tutte queste variabili vanno poi ad aggiungersi a quelle classiche: se il libro è bello o no, se viene distribuito bene, se esce al momento giusto e soprattutto se viene pubblicizzato nei modi e nei canali corretti.

In ogni caso sono sempre di più gli editori che hanno deciso di inserire la promozione social nelle clausole dei contratti. In alcuni viene specificato quanti post debbano essere dedicati al libro prima e dopo la pubblicazione.

Non è facile trovare il giusto equilibrio, anche perché – nonostante qualche scetticismo recente – un buon uso dei social può davvero far vendere più copie. È successo con il libro di Wall Koval “Accidentally Wes Anderson” (in italiano è “Wes Anderson quasi per caso”), una raccolta di fotografie di luoghi reali che presentano lo stesso stile simmetrico del regista. Grazie a una sapiente campagna social, il volume ha venduto 100mila copie (e Koval ha un seguito di un milione di utenti, saliti a 1,6 dopo la pubblicazione del libro).

Un esempio incoraggiante, certo Ma resta il sospetto, più che fondato, che in questo caso le piattaforme non abbiano fatto altro che amplificare una buona idea. E forse è qui che, social o non social, si deve insistere di più. Alla fine pagherà.

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