Ricostruzioni fantasioseIl vizio dei pm italiani di preferire le sceneggiature alle inchieste

Il nuovo noir pubblicato dall’ex procuratore aggiunto a Roma Giancarlo Capaldo ci ricorda che l’immaginazione è un’attitudine che il bravo investigatore ama coltivare, al punto che realtà e fiction assumono contorni sempre più sfumati. Sarebbe ora che la giustizia di questo paese iniziasse a sanzionare lo pseudo-giornalismo investigativo da quattro soldi

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Domenica sera abbiamo assistito ormai rassegnati all’ennesimo lancio pubblicitario di un libro di un ex pubblico ministero. Nel caso di specie, il libro, con in copertina un “elegante” nudo di donna, evocherebbe – secondo il conduttore Andrea Purgatori, da sempre profondo estimatore di pm assortiti – il caso tragico della povera Emanuela Orlandi, rapita 40 anni fa e mai più trovata, nonostante voci e leggende metropolitane, a partire dalle rivelazioni di Ali Agca, il mancato Killer di Papa Wojtila, di un coinvolgimento del Vaticano.

Con altrettanto tatto Andrea Purgatori accenna lievemente a un’ipotesi di pedofilia, non sappiamo se legittimata dalla lettura del tomo.

L’autore è Giancarlo Capaldo, ex procuratore aggiunto a Roma il cui nome è legato a numerose inchieste: quella sull’ex braccio destro di Giulio Tremonti, Marco Milanese; quella contro il patron di Fastweb Silvio Scaglia, arrestato e poi scagionato (nel frattempo indotto a disfarsi dell’azienda); soprattutto quella contro la professoressa Ilaria Capua, bersaglio anche di una violenta campagna di stampa e costretta a emigrare negli Stati Uniti prima di essere anche lei prosciolta dall’accusa addirittura di aver diffuso un’epidemia di virus (sic!).

Chi volesse saperne di più può leggere le memorie di Capua (“Io, trafficante di virus: Una storia di scienza e di amara giustizia”) il cui titolo non ha bisogno di commento, e sul processo Fastweb il libro di un manager, Giancarlo Rossetti, che racconta il suo calvario prima di essere anche lui assolto (“Io non avevo l’avvocato”).

Per certi versi la propensione narrativa e fantastica in un pm non deve stupire: l’immaginazione, anche sfrenata, è un’attitudine che il bravo investigatore italiano ama coltivare (anche in previsione degli sviluppi letterari). Il punto è evitare di farsi trascinare e travolgere.

Fortunatamente il dottor Capaldo, al contrario della collega Boccassini, non ci riserva particolari piccanti della sua avventura professionale, ma assai più sobriamente dopo dieci anni butta lì che due alti prelati del Vaticano nei primi anni ’10 gli avevano prospettato notizie sulla sorte della povera ragazza in cambio della rimozione, a spese dello Stato italiano, della salma del malavitoso Renatino De Pedis dalla chiesa di Sant’Apollinare, divenuta motivo di imbarazzo.

Dunque egli, senza averne mai lasciato traccia in un atto ufficiale, ci rivela di aver quantomeno avviato una impropria trattativa col Vaticano, a nome dello Stato italiano.

Ci informa infine, e qui la cosa si fa spinosa, che la storia ebbe sfortunatamente ad arenarsi: Giuseppe Pignatone, nominato procuratore capo a Roma, archiviò l’indagine che peraltro, se abbiamo ben capito, nulla riportava di tale colloquio, come ha lamentato la legale della famiglia Orlandi (avvocato Caterina Sgrò).

Incidentalmente l’avvento di Pignatone coincise anche con l’inopinata archiviazione della sino ad allora prestigiosa carriera dì Capaldo che di lì a non molto raggiunse la meritata pensione, non avendo modo di occuparsi di altre rilevanti vicende.

Insomma, il nuovo procuratore non valorizzò le intuizioni e le attitudini di Capaldo nonostante fosse il magistrato più anziano della Procura.

Capaldo e Purgatori, sempre con la dovuta discrezione, accennano anche al fatto che Pignatone, dopo la pensione, è oggi il presidente del Tribunale Penale del Vaticano, che, per una singolare coincidenza, è l’organo chiamato oggi a dirimere la complicatissima vicenda della compravendita di un palazzo di Londra per cui sonno finiti sul banco degli imputati un cardinale e altri nove imputati.

L’ex procuratore capo non ha gradito le allusioni della trasmissione. E, fatto per lui insolito, ha emesso un comunicato ufficiale, qualificandosi nel suo attuale ruolo di presidente della giurisdizione penale vaticana.

Nel comunicato ha ricordato che in alcun modo egli ha disposto di sua iniziativa l’avocazione dell’indagine, che continuò per tre anni dopo il suo insediamento. Ha ricordato inoltre che la decisione di archiviare fu presa a maggioranza dai pm che la condussero, tra cui Capaldo, e confermata dal Gip e dalla Cassazione cui erano ricorsi i familiari della Orlandi.

L’ex procuratore capo ha precisato che mai il suo ex aggiunto ebbe a parlargli di questa misteriosa visita. Non si tratta di un particolare da poco: un pubblico ufficiale non può tenere per sé prove e circostanze di cui venga a conoscenza per il suo ufficio, e non vi è dubbio che i misteriosi prelati andarono da lui perché egli reggeva allora la procura di Roma.

Ma non è finita qui. C’è un dettaglio fondamentale: il legale della famiglia Orlandi, Caterina Sgrò, ha rivelato di aver sollecitato l’intervento dei Promotori di Giustizia vaticani e del Csm cui avrebbe indirizzato, secondo Purgatori, «una richiesta di accertamenti sulla condotta dei magistrati della Procura di Roma sul caso di Emanuela Orlandi».

E qui la cosa si fa rovente. Perché mai chiedere l’intervento dell’Ufficio del Promotore di Giustizia, retto dal professor Gian Piero Milano, che incidentalmente è lo stesso magistrato che con il professor Alessandro Diddi rappresenta l’accusa nel processo sulla vendita dell’immobile londinese di Sloan Square?

Il Vaticano non ha nessuna competenza a indagare su di un reato, il sequestro di persona di una cittadina italiana, avvenuto in territorio italiano, unico fatto certo. Perché rivolgersi a loro? Perché nessuna denuncia all’autorità giudiziaria romana?

Avessimo la fantasia di Purgatori ci chiederemmo se questo improvviso colpo di scena abbia qualcosa a che fare con le polemiche sul processo Becciu, e sul serrato confronto in atto tra i promotori e il tribunale vaticano presieduto da Pignatone, che più volte ha disatteso le posizioni assunte dagli accusatori oggi sollecitati a intervenire su di una vicenda che coinvolgerebbe proprio il presidente del collegio.

Questo incredibile cortocircuito è stato valutato?

Prendiamola alla larga. Esiste la vocazione degli inquirenti italiani (non tutti) di coltivare potenziali sceneggiature più che inchieste rigorose: realtà e fiction assumono contorni sempre più sfumati.

Capita così che in uno degli interrogatori del teste cardine dell’inchiesta vaticana, monsignor Perlasca, uno degli investigatori evochi l’imitazione del cardinale Becciu fatta da Crozza: ecco che gli imputati diventano personaggi fantastici, senza che si capisca se si persegua il simbolo o il vero soggetto.

Il comico genovese in una delle sue parodie parafrasando la nota trasmissione di improbabili scoop para-fantastici Voyager l’ha ribattezzata “Cazzenger”, bene illustrando il rischio che oggi grava sulla giustizia italiana. E da cui se ne esce in un solo modo: rispettando la legge e sanzionando lo pseudo-giornalismo d’inchiesta che persegue l’effetto Cazzenger.

*L’autore fa parte del collegio dei difensori degli imputati nel caso Becciu

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