«L’attenzione agli abusi di autorità e di potere. Su questo ultimo tema ho avuto in mano un libro di recente pubblicazione di Salvatore Cernuzio sul problema degli abusi. Ma non degli abusi eclatanti: è sugli abusi di tutti i giorni, che fanno male alla forza della vocazione». Parole a sorpresa, e in un certo senso validanti un non facile lavoro d’inchiesta, quelle pronunciate sabato da Papa Francesco durante l’udienza alla plenaria della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica.
Parole ancora più significative, se si considerano la delicata importanza nello scacchiere curiale/ecclesiale del dicastero, guidato da un fedelissimo bergogliano qual è il cardinale João Braz de Aviz, e il ruolo del citato Salvatore Cernuzio, già collaboratore di punta di Andrea Tornielli per il portale Vatican Insider de La Stampa e da quest’anno componente della redazione di Vatican News – Radio Vaticana.
In realtà ci aveva pensato la grande stampa d’area anglofona e ispanofona a “consacrare”, già nelle scorse settimane, il trentaquattrenne giornalista calabrese per “Il velo del silenzio. Abusi, violenze, frustrazioni nella vita religiosa femminile”, edito dalla San Paolo e nelle librerie dal 23 novembre. Riconoscimento inequivocabile a un’opera coraggiosa, che attraverso la drammatica testimonianza di undici donne vocate (nove ex suore e due ancora professe in istituti di vita consacrata) apre spiragli di luce su una realtà inabissata: quella di soprusi psicologici, emotivi, fisici agiti da chi detiene ruoli di autorità o di potere in congregazioni religiose femminili.
Ciò mostra, d’altra parte, quanto sia indipendente e in pari tempo strida una tale valutazione con il relativo silenzio e un qual certo atteggiamento di sufficienza, che si sono finora riservati in Italia al libro di Cernuzio. La causa è forse da ricercarsi in due elementi contrapposti: da un lato il desiderio di «non oscurare – parole di un pudibondo vaticanista – la bellezza della vita consacrata», dall’altro l’assenza di ciò che Bergoglio chiama «abusi eclatanti», ossia sessuali, nella trattazione del saggio, che pur ne presenta uno: quello di suor Aleksandra. Di cui, in ogni caso, si contesta, al pari delle altre dieci storie narrate, il carattere di pseudonimia. Una morbosità, dunque che, se svela la scarsa o nulla sensibilità di tanti alla questione abusi nel suo complesso e alle vittime degli stessi, è indicativa anche della nescienza dei meccanismi ritorsivi cui vanno incontro le poche suore o ex suore che hanno il coraggio di denunciare.
Di essi è invece da tempo consapevole il gesuita Giovanni Cucci, autore dell’introduzione de “Il velo squarciato”, che nel 2020 ha scritto per La Civiltà Cattolica un articolo apripista dal titolo “Abusi di autorità nella Chiesa. Problemi e sfide della vita religiosa femminile”.
Il puntuale saggio dello psicologo, insegnante presso la Pontificia Università Gregoriana, è uno dei contributi che, insieme con l’intervista allo psicoterapeuta Tonino Cantelmi e l’analisi del canonista Giorgio Giovanelli, arricchisce il libro. A essi va aggiunta la prefazione redatta da suor Nathalie Becquart, che il Papa ha nominato, nel febbraio scorso, sottosegretaria della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi.
Nel rendere omaggio alle undici donne «che hanno coraggiosamente accettato di parlare e dare la loro autentica testimonianza», l’autorevole “xavière” di Palazzo del Bramante ha rilevato come i voti religiosi di povertà, castità e obbedienza possano essere «interpretati e attuati in un modo da infantilizzare, opprimere o addirittura manipolare e distruggere le persone» e come il principale mezzo di prevenzione di «queste possibili derive» consista nell’aiutare «le comunità religiose ad adottare uno stile sempre più sinodale». Non senza l’aperto richiamo alla ragione più intima del problema, con cui «la Chiesa tutta è chiamata a fare i conti», vale a dire «il peso di una cultura impregnata di clericalismo, che eredita dalla sua storia, e di forme di esercizio dell’autorità su cui si innestano i diversi tipi di abuso (di potere, economico, di coscienza, sessuale)».
Di clericalismo quale «possibile radice» delle «varie forme di abuso» e «mentalità di potere e di manipolazione» parla espressamente, in linea col pensiero bergogliano, anche padre Cucci. Il gesuita ne rileva il carattere di «rischio che riguarda ogni comunità e situazione», per arrivare alla conclusione: «La modalità analoga al clericalismo nelle comunità femminili sembra essere la tendenza a rimanere per più tempo possibile al potere, […], imponendo una mentalità unica e uniformante all’interno dell’istituto secondo il proprio criterio, facendolo passare come volontà di Dio e marginalizzando e colpevolizzando chi pensa diversamente». Più che di modalità analoga bisognerebbe forse parlare di reduplicazione e assunzione di modelli maschili e clerico-patriarcali all’interno degli istituti religiosi femminili.
È quanto si evince a ogni pagina dei racconti testimoniali di Anne-Marie, Marcela, Anna, Thérèse, Elizabeth, Aleksandra, A., Vera, Maria Elena, Lucy, Magdalene, che Salvatore Cernuzio ha raccolto e riportato con intima compartecipazione, realizzando una dolente opera musiva: a comporla undici tasselli, ognuno dei quali è fatto di una storia a tal punto palpitante nella sua drammatica realtà da far perdere qualsiasi interesse al nome effettivo delle singole protagoniste.
E non poteva essere altrimenti, visto che il libro nasce sì dalla conoscenza diretta di alcune ex suore, accolte con rifugiate e ragazze madri nella casa gestita ai Parioli dalle scalabriniane, ma soprattutto da una drammatica esperienza familiare. Quella di un’amica d’infanzia, claustrale in un monastero dov’era entrata «in giovanissima età» e da dove lo scorso anno era uscita «quasi all’improvviso, senza la possibilità di salutare quelle che per oltre un decennio aveva chiamato sorelle: gliel’avevano impedito loro e lei stessa si incolpava di essere forse un “cattivo esempio”. Non aveva potuto recuperare neppure qualche vestito per il viaggio. L’avevano mandata via in una notte di marzo, mentre l’Italia si trovava in pieno lockdown, con valigioni pesanti e una maglietta e un pantalone di tuta recuperato in un vecchio zaino usato una volta in ospedale per un’operazione di day-hospital».
Le undici donne, di cui Cernuzio racconta le storie di abusi e umiliazioni, non hanno avuto però la fortuna dell’amica d’infanzia, che è stata sostenuta amorevolmente dalla famiglia «e che tuttora la sostiene nel percorso di psicoterapia a cui si è sottoposta da un oltre un anno e che le ha permesso – molto presto rispetto alla media, in virtù anche di una fede profonda e di una inaudita forza di volontà – di iscriversi all’università e di essere attiva in parrocchia».
Per loro non solo mobbing, ricatti, manipolazioni, discriminazioni in base alla nazionalità, violazione del foro interno, problemi di salute sottovalutati o usati come pretesto per l’emarginazione durante gli anni di vita religiosa. Ma anche, e soprattutto, il calvario dell’abbandono generale, le difficoltà insormontabili del reinserimento lavorativo, la taccia stigmatizzante di traditrici una volta uscite dalla comunità in cui erano entrate con tanto entusiasmo e autentico spirito vocazionale.
Dopo anni di silenzio, motivato da paura o da forte pressione psicologica, esse levano ora alta la loro voce attraverso queste pagine, offrendo così un valido aiuto a chi non trova ancora il coraggio di reagire. Le loro vite squarciano finalmente il velo del silenzio sugli abusi di potere e sulla vittimizzazione, perpetrati a danno di tante donne all’interno di istituti religiosi femminili. E sono segno di contraddizione e prolungamento della passione di quel Cristo crocifisso, alla cui morte il velo del tempio, come narrano i Sinottici, si sarebbe squarciato in due da cima a fondo.