Mario Draghi ha fornito un quadro crudo e impietoso dell’impotenza politica totale dell’Europa che merita una riflessione. Lo ha fatto durante la conferenza di fine anno ma i media e il nostro mondo politico non ne hanno dato rilievo a fronte della priorità data alla sua disponibilità dichiarata alla elezione a presidente della Repubblica. Calmate le acque, è ora bene riprendere quanto Draghi ha detto circa l’inesistenza di una Europa politica, men che meno su un effettivo sovranismo europeo a fronte della crisi Ucraina-Russia. In estrema sintesi alle analisi di Draghi sulla forza geopolitica dell’Europa si può applicare la sferzante definizione della Germania di Henry Kissinger: «Un gigante economico, un nano politico, un verme militare».
Con la sua elegante e stringata retorica Draghi ha infatti detto innanzitutto che l’Europa, a fronte delle provocazioni russe, non esiste sul piano militare e quindi non può buttare sul piatto una peraltro indispensabile deterrenza: «Qual è il fattore di deterrenza di cui dispone l’Unione Europea? Questa domanda ci deve lasciare pensosi: abbiamo missili, navi, cannoni, eserciti? Al momento no.» Da notare il termine usato: «lasciare pensosi». Un eufemismo per dichiarare che l’intera costruzione europea è traballante, inadeguata, squilibrata.
Chiamata, non per la prima volta, a giocare un forte ruolo geopolitico non in qualche lontana crisi, ma proprio al suo interno, l’Unione Europea si scopre imbelle, ininfluente perché non ha forza, non ha «missili, navi, cannoni, eserciti». E non li ha per una ragione tanto semplice quanto drammatica: per averli dovrebbe averne dato vita a un esercito europeo. Ma un esercito europeo può esistere solo se comandato da uno Stato Europeo, non può essere agli ordini di un consesso a 27 che per di più decide all’unanimità sulle questioni di sicurezza e di politica estera, nel quale Cipro conta quanto la Germania.
Dovrebbe insomma avere costruito uno Stato Federale. Ma questa strada è stata bloccata nel 2005 dal voto popolare della Francia e dei Paessi Bassi che ne hanno bocciato la Costituzione e l’Ue è rimasta, appunto, solo un gigante economico. Senza forza politica. Per di più divisa al suo interno tra i paesi dell’Est comprensibilmente e ferocemente anti russi e tutti gli altri, Germania e Francia in testa, impegnati da una parte a trarre il massimo dei vantaggi economici dai rapporti con Mosca. Dall’altro tesi a un dialogo con Putin nel tentativo saggio di impedire che si formi un blocco politico e militare tra Mosca e Pechino, una nuova, possibile, super potenza in grado di superare addirittura gli Stati Uniti.
Questa zoppìa, questa totale inconsistenza militare e quindi politica riduce a puro flato verbale il sovranismo europeo invocato da Emmanuel Macron e dallo stesso Draghi. L’Europa, come dice Lucio Caracciolo, a fronte di ogni crisi «è sulla luna».
Ma non basta. Draghi ha anche denunciato la stolida miopia dell’Unione Europea sul piano delle possibili ritorsioni economiche, non potendo minacciare quelle militari, nei confronti di Vladimir Putin: «Noi europei abbiamo al massimo qualche fattore di deterrenza di tipo economico. Ma chiediamoci un momento: se noi vogliamo prendere sanzioni che prevedono anche il gas. Siamo capaci di farlo? Siamo forti abbastanza? È il momento giusto? Chiaramente la risposta è no». Di nuovo, la presa d’atto da parte del premier che l’Europa è miope, che non ha saputo e voluto valutare le implicazioni politiche della propria dipendenza assoluta dal gas e dal petrolio russo che coprono rispettivamente ben il 40% e il 26% del fabbisogno energetico del vecchio continente.
Un minimo di intelligenza politica a fronte di una Russia capace di riprendere il suo ruolo di potenza globale e antagonista, avrebbe imposto da decenni una drastica diversificazione delle fonti. Strategia che avrebbe comportato la costruzione di nuovi gasdotti dall’Asia e dal Golfo. All’opposto, la Germania, con la populista decisione di Angela Merkel di chiudere tutte le centrali nucleari nel 2011 dopo Fukushima e per di più di costruire assieme alla Russia il mega gasdotto Nord Stream 2, ha aumentato la sudditanza, anche politica, da Putin. Di nuovo, la prova della assenza di un cervello politico unitario dell’Europa capace di impostare strategie di lungo periodo. Il tutto inoltre con una incremento esponenziale dell’utilizzo del carbone, la fonte più inquinante in assoluto e con una riabilitazione europea del nucleare a dieci anni dalla sua messa al bando.
In conclusione Draghi ha preso atto della debolezza politica che l’Europa ha costruito scientemente e indossato con miopia e ha indicato il ruolo più che secondario che Bruxelles può giocare nella crisi ucraina: «In sostanza l’Unione Europea deve cercare il più possibile di mantenere uno stato di ingaggio con il presidente russo Vladimir Putin».
Dunque, il riconoscimento che la più grave crisi in atto sul suolo europeo, con possibilità concrete di una devastante deflagrazione bellica, non vede il vecchio continente come attore decisivo, ma, al massimo, come mediatore, al solito, tra Washington e Mosca. Ruolo che Draghi stesso sta già giocando, con apprezzamento pubblico peraltro da parte di Vladimir Putin.
Nel complesso dunque, l’indicazione da parte dell’ex governatore della Banca centrale europea di una fragilità e inconsistenza assoluta dell’Europa come potenza geopolitica e continentale che deve far riflettere.