Knowledge intensiveLe diverse economie delle città e regioni europee

Gli Stati del nord dell’Unione europea hanno più alti tassi di lavoratori occupati nei servizi avanzati come finanza, informatica e ricerca. Mentre l’economia del sud del Continente è più legata al commercio, alla ristorazione e al turismo

L’Europa sta tornando ai livelli di reddito pre-pandemici, e lo fa attraverso dei rimbalzi e delle crescite del Prodotto interno lordo che apparentemente dovrebbero anche convergere. Osservando le previsioni autunnali della Commissione Europea, infatti, si nota come l’economia italiana dovrebbe espandersi nel 2022 in arrivo del 4,3%, una percentuale uguale alla media Ue. Un fatto senza precedenti nel periodo pre-pandemico, quando eravamo regolarmente agli ultimi posti. Si tratta della prosecuzione del trend positivo iniziato nel 2020, quando il nostro +6,2%, ha superato, e non di poco, il +5% della media Ue.

Paesi come Grecia e Portogallo avranno una crescita economica superiore al 5%, unendosi agli Stati più poveri dell’Est, come Romania, Polonia, Ungheria che da sempre godono di tassi superiori a quelli dei più ricchi vicini dell’Ovest. Francia, Paesi Bassi, Svezia, Finlandia, invece, vedranno aumenti del Pil inferiori al 4%, al di sotto della media Ue.

Siamo di fronte a un riequilibrio generale? No, si tratta dell’effetto del recupero dei crolli del 2020, che è maggiore per quei Paesi più fragili in cui la pandemia ha colpito più duramente.

Tanti, invece sperano che sia finito il tempo dell’Italia fanalino di coda della crescita europea. Ma questo potrà avvenire solo se saranno risolti alcuni gap strutturali di cui soffriamo e che richiedono periodi più lunghi, magari con l’aiuto del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Uno dei divari più ampi è sul lato dell’offerta, una caratteristica che accomuna le economie delle diverse regioni europee. Il tasso di occupazione in alcuni settori chiave, quelli definiti knowledge intensive, è tra gli indicatori più significativi da questo punto di vista. Si tratta della percentuale di quanti lavorano nei servizi avanzati, come la ricerca, l’insegnamento, nelle professioni (architetti, avvocati), nella finanza, in ambito medico, nelle telecomunicazioni, naturalmente nell’industria IT. Insomma laddove sia possibile avere una produttività più alta e crescente.

Sono di più per esempio nella regione di Stoccolma, dove nel 2020 raggiungevano il 61,9%, in quella di Copenhagen, nel Brabante in Belgio, nell’Ile de France, l’area parigina, a Zurigo, a Berlino, dove erano più del 55%.

Superano il 50% in buona parte della Svezia, in parte dei Paesi Bassi, nel Sud della Francia, a Helsinki, mentre sono molto pochi, meno del 20%, nelle province più povere della Romania, nella Polonia centrale e in Bulgaria. Non superano il 34,4% neanche in Lombardia, mentre sono più del 40% nel Lazio, principalmente a causa della forte importanza del pubblico impiego, ma anche qui non si raggiungono i livelli dell’Europa Nordoccidentale.

Le relativamente piccole percentuali italiane spiccano in particolar modo considerando il tasso d’occupazione complessivo, tra i più bassi d’Europa. Vuol dire che sono realmente in piccolo numero in valore assoluto coloro che sono impiegati in questi settori più avanzati.

Al contrario che in Germania, dove un 40% di occupati in comparti knowledge intensive vale più di un 40% italiano, visto che incide su una quota di lavoratori molto più ampia.

Dati Eurostat

Se invece guardiamo a quanti sono assunti in ambiti a minore valore aggiunto come commercio e ristorazione, a mappa europea appare a colori quasi invertiti.

In questo caso a spiccare è il Sud del Continente, e non solo per la vocazione turistica, visto che coloro che sono impiegati in questi ambiti sono ai livelli massimi, intorno al 25%, anche in Calabria e nella Tracia greca, aree che non sono mai riuscite a sfondare tra le destinazioni delle vacanze degli europei.

E sono di più in Abruzzo che nella regione che comprende anche la Costa Azzurra, per esempio.

Significa che in questi angoli di Europa l’economia è rimasta maggiormente legata al passato, a un tessuto produttivo fatto di piccolo commercio. O che tra i cambiamenti globali intercorsi negli ultimi decenni, in queste aree siano penetrati solo quelli legati all’incremento del settore food e viaggi, e non anche, per esempio, alla maggiore importanza dei servizi informatici, come accaduto in Nord Europa.

Anche qui, in Germania, Svezia, Paesi Bassi, vi è stato un boom della ristorazione, certo, ma è stata la conseguenza soprattutto di una crescita economica prodotta in primis dalla crescita dell’Hi tech e dei servizi avanzati.

Dati Eurostat

Dei segnali ancora parzialmente deludenti per l’Italia vengono dai dati sul numero di lavoratori in settori ad alta tecnologia. Si tratta di una nicchia che comprende quanti sono impiegati nell’ICT, nella biotecnologia, nell’aviazione, nell’industria robotica o dei semiconduttori, insomma nei campi più produttivi in assoluto.

Parliamo di nicchia perché mediamente si tratta del 4,5% dei lavoratori, il 3,9% nel nostro Paese. Sono distribuiti, però, in modo molto diseguale. Spiccano normalmente le capitali e le grandi città, e non a caso si arriva sopra il 10% nell’area di Berlino, di Budapest, di Praga, di Dublino, di Stoccolma. In Italia è il Lazio, grazie agli istituti di ricerca romani e probabilmente al distretto della difesa, a vedere la percentuale più alta, il 7,8%, ma è solo 27esima tra le regioni europee, mentre la Lombardia, con 5,5%, è superata da molte realtà tedesche a simile vocazione manifatturiera.

Dati Eurostat

Anche per questo sarà inevitabile che nel 2023 la crescita del Pil italiano torni al di sotto della media europea, al 2,3% contro il 2,5%. Anche se si tratterà, se confermato, di un dato di tutto rispetto.

Per fare in modo, tuttavia, che le performance viste con il rimbalzo dagli abissi della pandemia non siano solo una parentesi fugace l’unica strada sarà trasformare nel profondo il tessuto produttivo, e sostituire, per quanto possibile, le attività a basso valore aggiunto con quelle sulla frontiera tecnologica. Ci vorranno competenze, ricerca, capitali, anche e soprattutto esteri, non basteranno i bonus, ovviamente, ma sarà necessario l’intervento pubblico. Sembra, ed è, l’identikit del Pnrr. Se saremo capaci di sfruttare questa occasione lo sapremo presto, perché arriverà a breve il momento, atteso e temuto, del rendiconto dei primi investimenti.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter