Dopo settimane di incertezza, lunedì pomeriggio Marine Le Pen si è arresa all’evidenza: impossibile organizzare la sua “convenzione presidenziale”, il primo grande comizio previsto per il 15 gennaio, con le attuali condizioni sanitarie. La Francia è ormai vicina ai 300mila contagi giornalieri, una cifra troppo elevata per riunire a cuor leggero decine di migliaia di persone in un luogo chiuso, e la candidata del Rassemblement national si è adeguata. Appuntamento rinviato al 5 febbraio, nella speranza che per quella data i contagi siano diminuiti.
La rinuncia di Marine Le Pen, che segue quella già sperimentata da altri candidati come Valérie Pécresse dei Républicains, rappresenta l’ennesimo segnale di quanto il primo mese dell’anno sarà un mese “perso”, senza grandi possibilità di fare campagna elettorale.
Per un breve periodo molti candidati avevano minimizzato i rischi di tenere comizi nel periodo invernale. D’altronde, per ora, non esistono strumenti normativi per limitare la partecipazione agli eventi politici come invece è stato fatto per i ristoranti, bar, teatri, cinema. Si possono soltanto imporre delle regole sul numero massimo di partecipanti, niente più: per rendere obbligatorio il green pass serve una legge apposita, che il governo ha detto di non avere intenzione di emanare.
Éric Zemmour, Jean-Luc Mélenchon e Marine Le Pen sono contrari al green pass, che ritengono «inutile» (la France Insoumise e il Rassemblement national hanno votato contro la sua istituzione in Parlamento) e non lo richiedono a chi partecipa ai loro eventi pubblici. Il partito socialista, En Marche e i Républicains, invece, hanno deciso di renderlo obbligatorio per accedere, pur sapendo che non avrebbero alcun potere legale per impedire l’accesso a chi ne fosse sprovvisto.
Ma la realtà è che il green pass per accedere ai comizi era una fonte di polemiche con poche decine di migliaia di contagi. Adesso la situazione è cambiata, e fare finta di niente potrebbe essere percepito in modo negativo dall’elettorato. La questione interroga l’esecutivo, che secondo Le Monde starebbe pensando di concedere più spazio agli spot televisivi dei candidati per compensare il tempo perduto nei comizi che non si terranno. Per il momento un rinvio dell’elezione è escluso: «Una tale ipotesi non è sul tavolo, né sotto al tavolo, né nell’armadio accanto al tavolo», ha scherzato Gabriel Attal, portavoce del governo, nella conferenza stampa pre natalizia.
In ogni caso, l’aumento dei contagi mette in difficoltà tutti i candidati, perché non causa soltanto un problema logistico, quanto di idee: ci si aspettava una campagna basata sull’identità francese, l’insicurezza, il potere d’acquisto e l’Europa, mentre l’agenda mediatica è dominata dal green pass, dai vaccini, dai contagi e dalle terapie intensive che ricominciano a riempirsi.
Secondo l’istituto Ipsos, che conduce un grande sondaggio al mese per fare uno stato dei luoghi dell’opinione pubblica che si avvicina alle presidenziali, la pandemia è la principale preoccupazione per il 33% dei francesi, un aumento di 14 punti rispetto a ottobre. Un cambio radicale causato dalla variante Omicron, che però va unito a una certa stanchezza: il 57% degli intervistati ritiene che i media parlino troppo dell’epidemia al posto di concentrarsi su argomenti importanti come le diseguaglianze, il potere d’acquisto e le pensioni.
Tutto questo aumenta il rischio di un’astensione elevata, al momento registrata in circa 9 punti in più rispetto al 2017, quando al primo turno andò a votare il 77% dei francesi.
Il presidente Emmanuel Macron è in una condizione particolare. Voleva impostare la sua campagna elettorale sulla necessità di continuare il lavoro per altri cinque anni e cogliere l’occasione della ripartenza dopo la pandemia, spogliarsi del suo abito di presidente e gestore di una crisi senza fine e indossare quello di candidato capace di restituire «una nuova speranza» ai francesi.
Gennaio era considerato un mese adatto per dichiarare ufficialmente la sua intenzione di correre per un secondo mandato. Il contesto rende invece remota questa possibilità, quantomeno nelle prossime due settimane, quando è previsto il picco della quinta ondata: Macron dovrà occuparsi dell’emergenza sanitaria, della somministrazione delle terze dosi e dell’aumento dell’inflazione, che minaccia di mandare in fumo in pochi mesi gli sforzi di tutto il mandato per abbassare le tasse e aumentare il potere d’acquisto dei cittadini. E rischia di togliere a Macron un formidabile argomento di campagna elettorale.
Allo stesso tempo, per il presidente, che come gli altri può aspettare fino alle 18 del 4 marzo 2022 per candidarsi ufficialmente, questa situazione inaspettata può rappresentare un vantaggio, perché nei momenti di difficoltà gli uscenti tendono a essere premiati. «Quest’anno dovremo compiere delle scelte importantissime per la nostra nazione. Per quel che riguarda me, quali che siano il mio posto e le circostanze, continuerò a servirvi », ha detto il 31 dicembre nel suo discorso alla nazione. La sua speranza è che il suo posto resti lo stesso, la sera del 24 aprile.