L’approvazione della legge sulle unioni civili prima, l’ampio risalto mediatico, ma con fine ingloriosa, del ddl contro omolesbobitransfobia, misoginia e abilismo (più noto come lo Zan) poi, hanno consolidato nella pubblica opinione e in larga parte del variegato universo rainbow la narrazione di un Partito democratico unico promotore e vindice dei diritti delle persone Lgbti+.
Narrazione che, oltre a certi comprensibili entusiasmi, presenta numerosi elementi di fondatezza. Ma, non di meno, andrebbe sfrondata di molti allori e ridimensionata. Perché la mitopoiesi, anche in politica, è sì affascinante ma pericolosa come Scilla e Cariddi: può divorare o risucchiare le menti di chi ne cade in balia rendendo così le stesse inabili a ogni operazione interpretativa e valutativa del reale.
La mancata approvazione degli articoli del ddl Zan, accompagnata il 27 ottobre dall’incivile boato in Aula del Senato, e la narrazione che ne è stata fatta costituiscono il proverbiale caso da manuale. Di quella giornata ha un persistente ricordo la senatrice Emma Bonino, nella cui mente – così a Linkiesta – «ancora riecheggia la vergognosa scena degli applausi di una buona parte dell’arco parlamentare all’affossamento del ddl Zan.
Un tale affossamento – peraltro per equilibri interni ai partiti che, mi pare, nulla hanno a che vedere con le questioni di merito del provvedimento – rende esattamente quale sia lo stato del riconoscimento dei diritti in Italia. Cittadini pronti, che chiedono venga preso atto delle situazioni già esistenti e riconoscendo diritti ancora negati e un Parlamento immobile, che ignora la realtà, perso nelle logiche partitiche. Ma non ho mai fatto politica col retrovisore e anzi questo immobilismo deve servire da sprone. Serve resistenza e testardaggine, anche se il percorso è sempre ripido ed è difficile scalare la vetta».
Eppure, di tale affossamento il Nazareno è riuscito a imporre, a dispetto della dirimente motivazione degli «equilibri interni ai partiti», l’accennata narrazione da manuale, deficitaria e a tratti falsata con toni da martirologio. Messi infatti in secondo piano il numero consistente di suffragi a favore della tagliola tra i banchi del centrosinistra, il modus operandi dem, non sempre felice durante la tormentata fase dibattimentale del ddl a Palazzo Madama, e la mancanza dei numeri necessari per l’approvazione dello stesso, il Partito Democratico ha preferito vestire osannato i panni del paladino d’una legge intoccabile (come richiesto dal movimento) e caricare di ogni responsabilità per il naufragio della stessa Italia Viva, già da tempo in calo di consensi.
Le colpe della truppa renziana sono innegabili – a partire dalla mutata posizione in tema di modifiche del ddl rispetto a quella tenuta alla Camera – ma sempre da ripartire, sia pur in diversa misura, con senatori e senatrici dell’Movimento 5 stelle (in minima parte) e del Pd. Del partito cioè che aveva espresso il relatore della legge a Montecitorio, l’oramai notissimo Alessandro Zan, intestandosi una battaglia combattuta in realtà da tutte le forze politiche del centrosinistra nonché da esponenti forzisti. Ed ecco così rafforzarsi e perpetuarsi il mito dem di partito antonomastico dei diritti Lgbti+.
Ma senza nulla togliere al ruolo fondamentale del Pd in tale ambito, le cose stanno diversamente. Anzi rispetto al partito di Letta ce n’è uno che sembra precederlo, essendosi dotato, unico caso al momento, di un Manifesto Arcobaleno o documento programmatico sui diritti Lgbti+ con conclusioni pratiche da inserire «sin da subito» nel «programma elettorale e politico per il Paese che verrà».
Si tratta di +Europa, che sin dalla sua nascita nel 2017 a opera, tra gli altri, di Benedetto della Vedova, Emma Bonino e Riccardo Magi «ha inserito nel suo programma elettorale la piattaforma più avanzata di diritti e doveri per le persone Lgbti+ in Italia». Infatti, recita sempre il documento nella prima pagina introduttiva, «i diritti non possono più aspettare». Anche perché essi non solo sono sotto attacco in Paesi come «Polonia e Ungheria», ma a rischio proprio in Italia, dove «il Congresso della Famiglia a Verona e l’ostruzionismo becero al ddl Zan si presentano come il solo «antipasto di quello che accadrebbe se al Governo arrivassero le destre sovraniste e nazionaliste».
Suddiviso in sei punti, il Manifesto Arcobaleno si struttura in altrettante serie di proposte e riforme in tema di diritto di famiglia (matrimonio egualitario, istituti alternativi al matrimonio, adozione per coppie dello stesso sesso e single), filiazione (estensione di tale riconoscimento ai minori già nati, riconoscimento alla nascita dei figli del partner per i genitori Lgbti+, accesso alle tecniche di pma per coppie lesbiche, legalizzazione della gpa), diritti trans (riforma della legge 164/1982), diritti intersex (divieto di trattamenti e interventi chirurgici di normalizzazione sessuale su bambini, se non salvavita), contrasto all’omolesbobitransfobia, prevenzione delle infezioni sessualmente trasmesse (riforma della legge 135/90 sulla risposta all’Hiv/Aids e accesso senza restrizioni alle forze armate per persone sieropositive).
Genesi del Manifesto Arcobaleno e motivazioni a esso sottese sono spiegate al nostro giornale ancora una volta dalla leader di +Europa, di cui, oltre a sottolineare l’ininterrotta opera di promozione e sollecitazione perché, nonostante le continue disattese, «si arrivi all’istituzione di una Commissione nazionale per i diritti umani in Italia», ricorda l’avvio di «un ulteriore ragionamento, al fine di promuovere realmente l’uguaglianza delle persone Lgbti+. Per questo motivo, in occasione della convention Speed – La politica non può attendere organizzata a Milano lo scorso 19 dicembre, il nostro partito ha deciso di lanciare il suo Manifesto Arcobaleno per chiedere piena parità formale e sostanziale davanti alla legge per le persone Lgbti+ con proposte serie: matrimonio egualitario, genitorialità, diritti delle persone trans e delle persone intersex, contrasto all’omolesbobitransfobia. Questi alcuni dei punti dettagliati nel Manifesto Arcobaleno, che è aperto alle istanze e ai suggerimenti della società civile e dell’associazionismo».
Più dettagliata rispetto alle altre la sezione Contrasto all’omolesbobitransfobia è quella che anche presenta punti di maggiore interesse e, si può dire, di piena conformità con istanze tradizionali del radicalismo. Balza, infatti, subito agli occhi l’assenza di qualsivoglia riferimento a una specifica fattispecie di reato e al relativo perseguimento penale, che, al contrario, sono oggetto dei primi e principali articoli del ddl Zan.
Il manifesto declina tutte le sue proposte di prevenzione e contenimento del fenomeno omolesbobitransfobico nell’ottica di azioni positive: informazione sessuale e affettiva nelle scuole, laicità dello Stato contro le ingerenze delle religioni e i fondamentalismi, leggi regionali contro omolesbobitransfobia, divieto delle terapie riparative sui minori, revisione della lista dei cosiddetti “Paesi sicuri” con inserimento delle eccezioni per le persone Lgbti+ laddove l’omosessualità è criminalizzata. Una considerazione a parte, in quanto esplicitamente menzionata tra le azioni positive da attuare, merita la Strategia nazionale Lgbti+, la cui celere approvazione, dopo quasi meno di due anni di lavoro, è una delle priorità della ministra per la Famiglia e le Pari Opportunità Elena Bonetti.
Del significato di un tale piano, la cui rimodulazione è attesa da tempo, e della relativa incidenza fondamentale in termini di contrasto ai fenomeni d’odio verso le persone Lgbti+ è pienamente convinto Yuri Guaiana, componente della segreteria di +Europa. «Con il Manifesto Arcobaleno – così a Linkiesta – il partito si è assunto un impegno programmatico importante che tocca temi d’attualità a partire dalla Strategia nazionale Lgbti+ sì da combattere l’omolesbobitransfobia con politiche positive. Strategia, di cui l’Italia dovrebbe nuovamente dotarsi a breve dopo oltre sei anni di attesa». Ma per l’attivista di fama internazionale tale impegno abbraccia
«anche temi d’avanguardia come i diritti delle persone intersex, di cui nessuno schieramento si occupa nel Bel Paese».
Tali obiettivi, comunque, saranno sempre da valutare e calibrare in un’ottica integralmente europea con la volontà, conclude Emma Bonino, «che le nostre proposte siano forti, condivise sì da romper un altro dei tetti di cemento armato del nostro Paese. Ma anche con l’auspicio che in Europa, visti i venti gelidi in tema di riconoscimento dei diritti umani, anche per le persone Lgbti+, provenienti da Polonia, Ungheria e via dicendo, si punti al rialzo del livello di tutela e protezione dei medesimi diritti e delle libertà civili, riconoscendo piena cittadinanza e dignità a ogni individuo. Difendere i diritti è come andare in bicicletta: o pedali o cadi e potrebbe anche capitare di tornare indietro».