Dunque la leadership è una scienza?
Credo che chi legge questa frase avvertirà un fastidio simile a quello che provo io mentre la scrivo.
È così ovvio, intuitivo, che la leadership non sia (solo) una scienza, così come non è (solo) una tecnica, che quasi passa la voglia di spiegarne il perché.
Certamente la leadership, se proprio fossimo costretti a scegliere, in un ipotetico gioco della torre, solo tra due definizioni (tecnica o scienza), sarebbe più scienza che tecnica. La tecnica è mera prescrizione di comportamenti per raggiungere un certo scopo (montare una libreria), la scienza invece è fatta di previsioni generali e individua correlazioni osservabili. La tecnica non contempla un esercizio di definizione degli scopi (montare la libreria Ikea è l’unico scopo possibile); la scienza invece amplia l’orizzonte e offre dei “se… allora…” utili a decifrare la realtà: se si vuole accelerare il processo di crescita di un’azienda, allora meglio aumentare il livello di autonomia dell’organizzazione commerciale, mentre se si vuole accelerare il cambiamento di strategia e dell’organizzazione, allora meglio accentrare tutto il potere.
Certamente tutto questo assomiglia più a una scienza (sociale) che non a una tecnica; ma perché mi sembra che la complessità dell’azione dei leader non possa essere “ridotta” al concetto di scienza?
Perché mi piace credere che, nel mestiere del leader, sulla considerazione degli strumenti prevalga quella degli scopi; sull’analisi delle correlazioni tra cause ed effetti prevalga la valutazione di ciò che è giusto o sbagliato fare; sulla valutazione dell’efficacia e dell’efficienza delle misure adottate prevalgano lo spirito umano e la considerazione del benessere delle persone; sulle previsioni scientifiche prevalgano, in altre parole, le prescrizioni etiche e – perché no? – le considerazioni estetiche.
Già! E se la leadership fosse un’arte?
Se la leadership è anche tecnica ma non solo tecnica, perché la tecnica non contempla una sufficiente considerazione degli scopi; se è anche scienza ma non solo scienza, perché alla definizione di scienza sfuggono l’umanità, l’etica e l’estetica insite nel concetto di leadership, possiamo pensare che la leadership sia invece una vera e propria arte?
Il dizionario Treccani suggerisce che l’arte sia la capacità di agire e di produrre, basata su un particolare complesso di regole e di esperienze conoscitive e tecniche, e quindi anche l’insieme delle regole e dei procedimenti per svolgere un’attività umana in vista di determinati risultati.
C’è tutto in questa definizione! C’è la tecnica (le regole e i procedimenti); c’è l’esperienza conoscitiva, propria della scienza e del metodo sperimentale classico, c’è quindi l’attività intellettiva dell’uomo; ma c’è soprattutto l’uomo, l’attività umana, il suo agire (produrre risultati) e c’è appunto il risultato finale, c’è lo scopo finale del nostro agire, c’è la cosiddetta produzione (artistica).
Nell’uso quotidiano, il termine “arte” è spesso riferito a pittura, scultura, architettura, cioè alle arti figurative, e in tempi più recenti ha incluso ovviamente le attività di chi interpreta, sulla scena, opere drammatiche o musicali. Ma arte è una parola spesso usata anche per quei mestieri che richiedono ingegno e al tempo stesso abilità tecnica: l’arte del fabbro, del calzolaio, dell’ebanista, del decoratore, del fornaio, e per questo sta anche a indicare quel complesso di regole necessarie a condurre una serie di operazioni, a svolgere un’attività artistica o inerenti a una data disciplina: l’arte del tessere, l’arte del ricamo, l’arte del dipingere, l’arte della recitazione; l’arte dell’oratoria, l’arte culinaria, l’arte militare, l’arte poetica.
Che cosa assimila dunque la leadership a un’arte?
L’arte non è tecnica ma necessità di tecnica. La musica necessita di moltissima tecnica, per esempio la tecnica del suono; la pittura necessita di molta tecnica, per esempio la tecnica dei colori, delle proporzioni, delle prospettive; la scultura necessita di tecnica dei materiali, della luce; il cinema, di tecnica della fotografia e molte altre. Chiunque voglia esprimere il proprio estro artistico, che in teoria è quanto di più istintuale, personale, intimo e non inquadrabile in alcuna regola o procedimento esista, ha in realtà bisogno di possedere alcune tecniche per gestire gli strumenti del proprio linguaggio, sia esso musicale, figurativo, cinematografico.
Anche la leadership ha bisogno di tecnica. Nei prossimi capitoli, descriverò la mia esperienza con molti di questi aspetti tecnici. Ma ridurre a essi la sostanza e il significato profondo della leadership equivarrebbe, come diceva una bella pubblicità di qualche anno fa, a ridurre un violino Stradivari ai pochi etti di legno d’acero e di metallo di cui si compone.
Senza tecnica non c’è arte vera ma solo improvvisazione. Ma l’arte va ben oltre la tecnica. E la leadership, come l’arte, ha bisogno del genio individuale, cioè proprio dell’opposto della tecnica. Non esiste un leader uguale all’altro, perché anche se due leader usano gli stessi strumenti tecnici, comunque produrranno “suoni” diversi. Così come due musicisti che suonano lo stesso spartito producono evidentemente suoni, sensazioni diversi.
L’arte si serve della tecnica per plasmare la realtà, per utilizzare gli strumenti della realtà (i materiali, i suoni, i colori, i segni) per comunicare la propria idea.
E l’arte si serve della scienza. Pensiamo all’antica relazione tra architetti e ingegneri. L’idea di un grande architetto, il cenno grafico, il segno che vuole lasciare su un paesaggio, con la costruzione ad esempio di un nuovo tipo di edificio o di ponte, non si realizzerebbe mai se non ci fosse la scienza delle costruzioni e dei materiali.
Allo stesso modo la leadership utilizza a man bassa le teorie scientifiche e gli strumenti delle scienze sociali, dalla psicologia, ovviamente, alla sociologia, dall’antropologia alla scienza della comunicazione. Ma in queste regole e in queste teorie non si esaurisce. Come il suono del violinista non si esaurisce nello spartito e l’edificio del grande architetto non si esaurisce nello studio dell’ingegnere strutturista.
Quali sono dunque gli aspetti fondamentali che fanno della leadership un’arte?
Credo siano sostanzialmente due. La leadership è l’arte della creazione di contesti migliori ed è l’arte dello sviluppo degli altri. Facendo una crasi di questi due aspetti potremmo dire che la leadership, dunque, è l’arte della creazione di contesti migliori in cui gli altri possano svilupparsi appieno.
Come l’arte, infatti, in quanto attività umana accresce le bellezze naturali di un luogo, la leadership plasma, trasforma, accresce e “abbellisce” la realtà aziendale. Creare un contesto migliore significa occuparsi del luogo-azienda, facendo sì che le persone che lo abitano ci si sentano a loro agio, stimolate ma accolte, accolte ma stimolate; significa chiarire bene le regole del gruppo sociale, i valori cui ci si ispira e i comportamenti attesi; significa invitare le persone giuste a far parte di quel gruppo ed escludere le persone sbagliate; significa chiarire la direzione strategica, gli obiettivi e le cose che contano per determinare la soddisfazione e il successo.
Questo primo aspetto della leadership, a ben guardare, assomiglia all’architettura, come scienza della cura dei luoghi, assomiglia alla psicologia, come scienza delle relazioni e alla scienza della comunicazione come scienza dei segni; assomiglia alla sociologia, come scienza delle organizzazioni e delle loro regole, come scienza che studia i meccanismi di adesione e di lealtà.
Ma, lo ripeto, più che come a una scienza, mi piace pensare a questo aspetto della leadership come a un’arte, l’arte dei paesaggisti, quei professionisti, spesso architetti, specializzati nella progettazione e nella sistemazione di parchi, giardini, di paesaggi appunto. Compito del leader è creare un paesaggio armonico, produttivo, ben pensato, equilibrato, con fonti di energia naturale e spazi giusti per tutte le diverse attività dell’azienda e di chi la “abita”.
Il secondo aspetto dell’arte della leadership, però, è quello che io definirei il suo cuore: la leadership è l’arte di stimolare la crescita delle persone e del loro talento.
Se il primo aspetto, legato al contesto, al paesaggio, rende l’arte della leadership simile al mestiere del paesaggista, questo secondo aspetto, legato alla crescita del talento delle persone che abitano quel paesaggio, rende l’arte della leadership simile al mestiere del giardiniere, che si prende cura di ciascuna pianta, di ciascun albero, di ciascuna siepe del suo giardino, con un’attenzione personalizzata e differenziata, lasciando che ogni pianta appunto esprima il proprio potenziale, il proprio colore e la propria forma, non ricercando uniformità ma armonia.
Sarà la mia età di mezzo o sarà l’età dei miei figli, che stanno per sbocciare a vita adulta in questi anni, ma non posso non guardare indietro alla mia esperienza professionale, così come guardarmi intorno ora e anche guardare avanti verso il futuro, e non pensare che, in fondo, la nostra arte non può che essere quella del maieuta del talento altrui. Scovare i talenti giusti, individuarne l’identità, a volte spiegarla agli stessi ignari interessati, aiutare le persone a capire la loro strada, individuare la loro vocazione, indirizzare, rafforzare, a volte potare, a volte espiantare persino e ripiantare altrove, annaffiare, legare, slegare, esporre al sole in primavera e riparare dal vento in inverno: tutto ciò e tanto altro è la nostra arte.
È l’arte della leadership generativa, quella che non mette al centro il sé-leader ma ci mette l’altro, gli altri; è l’arte che non focalizza la propria attività e il proprio pensiero sull’esercizio della propria leadership ma sullo sviluppo della leadership altrui.
In questo ho trovato negli anni la mia collocazione in azienda: nell’occuparmi sostanzialmente di persone. Di contesti e di persone. E nel lasciar fare a loro tutto il resto (o quasi).
Generatività o pigrizia? Forse entrambe.
Non l’ho sempre pensata così, ma ora credo davvero che la leadership, in fondo, sia l’arte di disegnare paesaggi, di far crescere buone piante, non rendendosi mai, in tutto ciò, indispensabili.
da “Leader ma non troppo. Arte e fatica di guidare un’azienda”, di Giuseppe Morici, Feltrinelli, 2022, pagine 176, euro 16 (esce il 13 gennaio)