Ingorgo d’influenzeL’ennesima nemesi del populismo giustizialista è una campana che suona per Salvini e Meloni

Da anni, tra abolizione del finanziamento pubblico e criminalizzazione del finanziamento privato, abbiamo messo fuori legge la politica. Ricostruire le basi di un sistema in cui tornano a valere la divisione dei poteri e il ruolo dei partiti è interesse di tutti, ma specialmente dei leader della destra

di Brad Preece, da Unsplash

L’ennesima nemesi del populismo giustizialista, prossimo a essere giustiziato in nome del popolo italiano, era talmente scontata, prevedibile e banale che non verrebbe nemmeno voglia di commentarla. Beppe Grillo indagato per traffico d’influenze, nell’ambito dello stesso filone di indagini che riguarda Matteo Renzi e la sua fondazione, conseguenza della più antipolitica delle leggi, ulteriormente incarognita dal guardasigilli grillino Alfonso Bonafede: strike! In un colpo solo, finiscono ancora una volta alla gogna tutti coloro che, a tempo debito, cioè quando avevano il vento in poppa, hanno promosso e alimentato questo meccanismo infernale, dall’abolizione del finanziamento pubblico alla criminalizzazione del finanziamento privato, mettendo di fatto fuori legge i partiti.

La politica italiana è a tal punto ripetitiva da costringere anche chi voglia denunciarne la ripetitività a ripetersi ossessivamente, fino al mal di mare.

Dunque saltiamo le inutili premesse e andiamo direttamente al punto, cioè come spezzare l’incantesimo, che poi sarebbe anche l’unica soluzione ragionevole per quel complicato gioco d’incastri che tiene insieme l’elezione del prossimo presidente della Repubblica, la durata dell’attuale governo e la possibilità di non mandare all’aria l’ultima insperata occasione di evitare la bancarotta (non solo finanziaria, ma anche finanziaria).

Se hanno conservato ancora un minimo di lucidità – capisco che è un grosso «se» – è un punto che dovrebbe stare a cuore anzitutto a Matteo Salvini e Giorgia Meloni, perché il prossimo turno è il loro. Fermare la giostra, ricostruire le basi di un sistema politico e istituzionale in cui tornano a valere la divisione dei poteri, la certezza del diritto e se non proprio il primato almeno la non proscrizione della politica (nota per Bonafede: ho detto «proscrizione», con la «o») è anzitutto interesse di chi, verosimilmente, nei prossimi anni è destinato ad avere un ruolo di primo piano sulla scena pubblica. Capite dunque perché non perda tempo ad appellarmi al tre twittatori in coro di ieri.

Un presidente della Repubblica che garantisca tutti (e chi meglio dell’attuale?), un presidente del Consiglio capace di portarci sani e salvi, insieme con il Pnrr, alla fine della legislatura (e chi meglio dell’attuale?), dunque ancora un anno di tregua politico-elettorale, per uscire dalla pandemia sulle nostre gambe. Il congelamento dell’attuale formula di quasi-unità nazionale è la premessa indispensabile per la ricostruzione delle condizioni minime di agibilità politica, per tutti, cioè per un normale funzionamento del gioco democratico, a cominciare da una legge elettorale proporzionale che restituisca centralità al parlamento e ai partiti.

Se invece Salvini e Meloni – e tutti gli altri con loro – si divertono così, si accomodino. Ma non si lamentino poi se a vincere ogni rodeo è l’unico che abbia il talento, le risorse e le capacità per rimontare sempre in sella, e continua a farli trottare al suo ritmo pure alla bella età di ottantacinque anni.

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