Noiose geremiadiLa (non) blasfemia di Drusilla, il battesimo di Lauro e il Festival dissacrante

La quasi imprecazione pronunciata dalla co-conduttrice di Amadeus ha scatenato le solite polemiche social. Ma come spiega a Linkiesta il teologo Gamberini: «La Chiesa ha ricevuto simboli come il battesimo da altre tradizioni. Per cui essa dovrebbe avere la comprensione che appartengono a tutti»

LaPresse

Il Decalogo e il Festival di Sanremo? «C’entra come il culo con le Quarant’ore», esclamerebbero di primo acchito nella città di Dante. Il noto detto fiorentino – che, equivalente del più diffuso ed educato «come i cavoli a merenda», farebbe gridare non pochi tunicati alla bestemmia – appare quanto mai azzeccato come nel caso della 72° edizione della kermesse canora. La quale – e non si è ancora arrivati alla quarta serata – vede proprio l’argomento blasfemia tenere costantemente banco tra le diverse polemiche in essere.

Ed è così che, pur nella loro completa estraneità, Sanremo 2022 e le tavole mosaiche sono finite di fatto per essere associate attraverso l’invocata violazione del secondo dei dieci comandamenti: «Non nominare il nome di Dio invano». Se n’è avuta ieri l’ultima riprova, benché più contenuta, quando alla nobildonna toscana Drusilla Foer (alter ego del talentoso Gianluca Gori) è scappata per il dolore, nell’atto di strapparsi i baffi da Zorro, l’imprecazione «Dio Cristo». Imprecazione, peraltro non terminata. Apriti cielo! Sono montate sui social le solite quanto noiose geremiadi con l’immancabile Mario Adinolfi che, pur trincerandosi dietro al sentito dire e a parole di apprezzamento per la performance artistica «più che gradevole”, ha concluso: «Se fosse accaduto sarebbe un atto gravissimo […]. Ma bestemmiare Dio non si può, proprio no». Lo stesso leader del Popolo della Famiglia aveva però già agitato lo spettro della blasfemia e sferrato ben altri fendenti contro il vero bersaglio delle falangi “devote”: Achille Lauro.

Una bagarre in realtà annunciata quella scatenatasi all’indomani della performance del cantante trentunenne, che l’1 febbraio, in pantaloni e a torso nudo, aveva aperto la gara dell’Ariston esibendosi nel brano Domenica insieme con l’Harlem Gosperl Choir di New York. Performance conclusasi con un’abluzione esemplata su quella battesimale, effettuata dallo stesso Achille Lauro in ginocchio e nella veste di ministro di sé stesso.

Il preciso significato simbolico del gesto, connesso al contenuto di Domenica, era stato spiegato dallo stesso artista sui social ore prima dall’esibizione con tanto di foto del suo giorno battesimale. «Oggi 61 anni fa – così nel post – nasceva mia madre. Oggi 61 anni dopo le regalo l’apertura del Festival di Sanremo. Ancora oggi guardo questa donna nello stesso modo. Le madri sono esseri divini, ci danno la vita ogni giorno. Oggi, in un nuovo inizio, vi omaggio del mio battesimo. Che dio ci protegga. Hallelujah».

E invece, a eccezione del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, limitatosi a intervenire sulla questione con la riproposizione di passi omiletici di Gregorio Nazianzeno sul Battesimo in nove tweet, si è gridato subito, e da più parti, all’irriverenza e all’offesa dell’altrui sentire religioso. Ovviamente quello cristiano. Si è andati così dal già citato Adinolfi, che ha parlato d’irrisione del sacramento «in modo così banale e sciatto», a Toni Brandi, presidente di Pro Vita & Famiglia con la tesi del «Festival nazionale della blasfemia anticristiana, nonostante 360 milioni di cristiani perseguitati e discriminati nel mondo proprio a causa di quel battesimo che Achille Lauro ha vilipeso per puro sensazionalismo»; da don Antonio Rizzolo, direttore di Famiglia Cristiana, dettosi infastidito «a questo mezzuccio più che offeso», al quotidiano della Cei, L’Avvenire, che, ironizzando sulle dichiarazioni di Achille Lauro, ha definito quello andato in scena all’Ariston «il solito teatrino dèja vu».

In campo addirittura gli esorcisti italiani nella persona del coordinatore nazionale padre Paolo Carlin, per il quale «lo spettacolo canoro, in continuità con quello dello scorso anno, ha nuovamente fatto oggetto di sbeffeggiamento e di dissacrazione immagini, contenuti e simboli della nostra fede cristiana. Tale gesto non solo dissacra quei segni ma ancor più viola la coscienza di quelle persone che in quei segni esprimono la loro fede cristiana». E la lista di chi ha usato più o meno tali argomenti, alla quale può ascriversi, ultima in ordine di tempo, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, potrebbe allungarsi all’indefinito tra nomi noti e meno noti. 

Ma su tutti è necessario farne ancora uno in particolare. Si tratta di mons. Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia-Sanremo, che, non nuovo a certe prese di posizione, ha emanato un documento dannatorio dai toni savonaroliani. Nel comunicato con tanto di stemma episcopale si leggono anatemi contro chi «ancora una volta ha deriso e profanato i segni sacri della fede cattolica evocando il gesto del Battesimo in un contesto insulso e dissacrante. Il brano presentato, già nel titolo – Domenica – e nel contesto di un coro gospel, alludeva al giorno del Signore, celebrato dai cristiani come giorno della fede e della risurrezione, collocandolo in un ambiente di parole, di atteggiamento e di gesti, non soltanto offensivi per la religione, ma prima ancora per la dignità dell’uomo». Nel riaffermare poi «con chiarezza che non ci si può dichiarare cattolici credenti e poi avvallare ed organizzare simili esibizioni», si denuncia poi «la grave deriva educativa che minaccia soprattutto i più giovani con l’ostentazione di modelli inadeguati». Con tanto di richiamo conclusivo all’adempimento «del dovere della riparazione nella preghiera».

Parole che non meravigliano affatto sulle labbra di un presule, noto per posizioni tradizionaliste, il plauso a Salvini sull’uso di simboli cristiani in pubblici comizi e la lotta senza quartiere al ddl Zan. Senza dimenticare che Suetta, addottoratosi in teologia presso il Pontificio Ateneo Regina Apostolorum, è stato economo della diocesi di Albenga-Imperia e rettore del seminario vescovile di Albenga negli anni del controverso episcopato del suo mentore, il vescovo Mario Olivieri, di fatto esautorato da Papa Francesco nel 2015 con la nomina a coadiutore di Gugliemo Borghetti e spinto a presentare le proprie dimissioni, anzitempo, all’età di 72 anni.

A sorpresa, la risposta migliore era già arrivata la sera del 2 febbraio dal Vaticano attraverso le parole di Antonio Monda, dominus de L’Osservatore Romano. Un breve commento, il suo, che, apparso nella rubrica Lettere al Direttore, si riporta per intero in ragione dell’arguzia che lo caratterizza: «Chiamati in causa da Fiorello alla cui simpatia non si può resistere, eccoci qui a dire la nostra, come richiesto, su Achille Lauro. In punta di piedi. Perché Sanremo è Sanremo. L’Osservatore è L’Osservatore. E in questo caso si limita a osservare che, volendo essere a tutti i costi trasgressivo, il cantante si è rifatto all’immaginario cattolico. Niente di nuovo. Non c’è stato nella storia un messaggio più trasgressivo di quello del Vangelo. Da questo punto di vista difficilmente dimenticheremo la recita del Padre Nostro, in ginocchio, di un grande artista rock come David Bowie. Non ci sono più i trasgressori di una volta».

All’ironia d’Oltretevere, che in ogni caso non ha tacitato, come s’è visto, gli irriducibili neocrociati anti-Lauro, è forse opportuno aggiungere anche qualche elemento d’ulteriore riflessione. Secondo il teologo gesuita Paolo Gamberini, che, preferisce sorvolare sul testo della canzone «perché – dice a Linkiesta è un genere che non mi piace», è necessario partire da una domanda basilare: «Chi ha l’autorità sui simboli religiosi? A chi appartengono? La Chiesa li ha ricevuti da un’altra tradizione. Il Battesimo, nel caso specifico, viene appunto dalla tradizione del Battista. Il Battista, a sua volta, l’ha mutuato dai rituali di lavacri di purificazione in vigore al suo tempo. Tutti i simboli religiosi, di cui ci siamo appropriati, sono di fatto di altre religioni. Ci sono persone laiche, che richiedono – pensiamo alla benedizione per le persone omosessuali – dei segni che la loro formazione religiosa ha insegnato come segno di benedizione. E il segno di benedizione più grande è il Battesimo. Cosa vuol dire? Piuttosto che dire non usatelo, dovremmo chiederci: Ma quali altri segni di benedizione abbiamo insegnato loro?». Per il sacerdote della Compagnia «queste persone che utilizzano tali segni fanno una trasgressione a coloro che ne hanno avuto il monopolio, ricevendoli, come si diceva, da altri. Simboli che comunicano una benedizione. Ma simboli che la Chiesa ha ricevuto da altre tradizioni. Per cui essa dovrebbe avere la comprensione che appartengono a tutti». 

C’è poi, spiega sempre Gamberini al nostro giornale, una «seconda questione: quella del rispetto, il non abusare dei segni religiosi altrui. Bisogna qui fare il processo alle intenzioni ad Achille Lauro? Lui aveva intenzione di dissacrare? Il post non mostra affatto questo. Ma si aggiunge: Il contesto è dissacrante. Bisogna tenere in conto che siamo di fronte a persone che si sono allontanate dalla Chiesa. Ma resta in esse un legame con il linguaggio religioso e, non avendo avuto forse una formazione profonda del carattere religioso, si trovano soltanto ad avere soltanto questo vocabolario. È forse un invito alla Chiesa a riconoscersi una delle voci nell’ambito espressione religiosa – non è dunque l’unica ad avere il monopolio – e a cercare d’intercettare: Ma perché sono andati a ricercare linguaggi religiosi? Non vuol forse dire che c’è dietro un desiderio di benedizione, di un’ulteriorità divina che dica ancora qualcosa di bello per la loro vita? Quest’apertura sembra mancare».

Al contrario, a parere dello stesso Gamberini, proprio da Sanremo arriva un messaggio di grande positività. «Dal “Battesimo” di Lauro – così conclude – al discorso di Drusilla mi sembra che ci sia una esuberanza o eccitazione (nel senso della fisica quantistica) della realtà. Le chiese si svuotano, ma la vita si riempie di verità».

A offrire ulteriori spunti valutativi Diego Passoni, voce simbolo di Radio Deejay e conduttore con Cristina Bugatty di Citofonare Passoni, fortunato programma d’intrattenimento e commento live del Festival di Sanremo. Lo speaker radiofonico, che ha alle spalle un’esperienza giovanile di vita religiosa ed è sempre attento alla questione conventuale, sottolinea a Linkiesta che «Dio è colui che si prende meno sul serio di tutti e che, per fortuna, ci prende meno sul serio di tutti. Sarebbe poi opportuno avviare, visto che si parla di tanto di vilipendio e irrisione del Battesimo, una seria riflessione sull’uso, che non è sempre rispettosissimo. Per non parlare poi dell’utilizzo, un po’ magico, dell’acqua santa per benedire animali e appartamenti, mentre poi si nega la benedizione a coppie di persone dello stesso sesso che si amano. D’altra parte, Gesù non se la prendeva così tanto per i gesti quanto più della malafede nell’esercizio del potere».