Che sta succedendo alle Olimpiadi Invernali di Pechino? Al di là dei peana per le medaglie vinte, 2 ori, 7 argenti e 7 bronzi, al di là della gioia per le imprese puramente sportive, le prestazioni e i risultati, serpeggia ed esplode la polemica. E che polemica, ce n’è per tutti e tutte.
Ho assistito, essendo da anni appassionata di curling, che mi fa lo stesso effetto calmante del golf, alla soddisfazione di vedere due dei 300 praticanti italiani di questo “tirare e spazzare dei pietroni sul ghiaccio con estrema precisione”, essere in cima al mondo. Aver vinto in una delle discipline più misconosciute dello sport, è stata accompagnata da un comportamento gioioso e signorile dei vincitori, improvvisamente alla ribalta.
Una compostezza che invece è mancata nello sci e nel pattinaggio su ghiaccio. Sono giorni che si sprecano commenti alle dichiarazioni della plurimedagliata Arianna Fontana che a muso duro ha minacciato di non partecipare alle prossime olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026.
Il contendere sta nel presunto ostracismo della Federazione di cui fa parte verso il ruolo del suo allenatore e marito italo americano. Lei vorrebbe che assumesse un ruolo di caposquadra e i dirigenti no. Rimanga il tuo allenatore, le dicono, ma non l’allenatore di tutti i pattinatori. Arianna addirittura accusa alcuni componenti della squadra maschile di averla deliberatamente ostacolata, fino a farla cadere, quando si allenava con loro. Talmente tanto da essere scappata in Ungheria a prepararsi per le Olimpiadi.
Non so quale sia la verità, certo è un’accusa pesantissima e circostanziata alla quale non è stata data una risposta adeguata. Ho provato un brivido lungo la schiena pensando a quando io giocavo a calcio con i maschi e non mi passavano mai la palla, come non esistessi, anzi fossi un disturbo. Quando poi accadeva che facessi delle giocate, si accorgevano che ero più brava di loro. Ma nel caso dello short track è evidente che ci siano interessi importanti, sponsorizzazioni, premi e quant’altro.
Il marito di Arianna pare non aver aperto bocca pubblicamente e forse ha fatto bene. La misoginia è dovunque, il sottile fastidio che tra tutti gli atleti la più brava, anzi una campionessa, sia una donna esiste. Di solito sono gli uomini che si tirano dietro, per così dire, e favoriscono le donne a cui sono legati. Invece qui la singolarità è che Arianna si è trovata lei nella posizione di pretendere che il suo allenatore assumesse un ruolo più importante. Non sarebbe giusto in entrambi i casi, ad personam è a mio parere una parolaccia. Ma l’aver indicato una vessazione maschile reale anche nella pratica sportiva non è da poco.
Arianna è uscita dalle righe, dal bon ton, dal savoir faire verso il suo mondo, il polverone che ha alzato non è il primo, con la differenza che non è stata una faida tra atleti ma una messa in discussione di un sistema. Quando accade emerge sempre la domanda amplificata dai maledetti social: è egocentrismo, narcisismo o una giusta causa? Non sappiamo, ciò che è certo è che se lo può permettere, come lei nessuna ha vinto tanto e, cosa non da poco, i dirigenti fino ad arrivare a Giovanni Malagò che è intervenuto, sono tutti maschi. Chissà perché?
Il sistema c’entra poco nell’altra polemica rovente, tra la stoica e bionica Sofia Goggia e Federica Brignone, sua compagna di squadra, due campionesse di discesa con gli sci. Solo che la Brignone, e qui dispiace ammetterlo, ha una madre molto ingombrante, grande sciatrice anche lei. Vi ricordate i veleni nella Nazionale di scherma lunghi decenni, tra Valentina Vezzali, Giovanna Trillini, Arianna Errigo, Elisa Di Francisca, Diana Bianchedi, Margherita Granbassi e altre? Una faida quella sì, infinita. Dopo tanto tempo se ne parla ancora. Sospetti, alleanze, giochi sporchetti. Tutto per essere la migliore, la più medagliata, la più famosa.
Ecco, la rivalità tra Goggia e Brignone si era sempre mantenuta lungo binari di correttezza reciproca, vinceva una e vinceva l’altra. Poi, complici le stratosferiche vittorie di Goggia, l’equilibrio è venuto meno e non per colpa loro. Le due ragazze sono diversissime, Sofia estroversa, chiacchierona, istintiva, si butta giù dalle piste come una matta e rischia, rischia tanto. È fatta così. Federica è meno portata all’assalto, ragiona di più.
La differenza però è che Federica, sempre gioiosamente contenuta non ha contenuto la genitrice, famosa ex-campionessa anche lei, che ora scrive su Il Giornale e commenta lo sci. Il cognome è diverso Quadrio, ma pesano come un macigno la sua presenza, la sua opinione, l’antipatia ormai espressa chiaramente verso Goggia, contendente di sua figlia, che nelle sue parole di mamma diventa nella traduzione di un sottotesto neanche tanto velato, una sbruffona, una che per farsi notare si inventa gli infortuni o li aggrava, le dà della megalomane, insomma un quadretto per niente edificante.
E qui viene da chiedersi, perché le donne alimentano così tanto il conflitto tra loro, perché la competizione è esasperata come e peggio degli uomini? Non dovremmo aspettarci un modello differente, alternativo di porsi, facendo leva su alcune qualità che ci dovrebbero appartenere come genere femminile? Una comprensione degli eventi e dei sentimenti maggiore, la capacità di accettare uno sbaglio, l’assunzione delle proprie responsabilità. La solidarietà tra donne esiste ancora?
Mi fa paura dirlo ma finché c’era una subordinazione spaventosa era facile. Molto più difficile, nel percorso enorme che ancora si deve fare, è non replicare il modello maschile del potere nel momento in cui il proprio successo viene allo scoperto, si ha notorietà e fama. E vale non solo nello sport, ma in ogni ambito in cui una donna ha parola potente che influenza.
Perché è così facile poi portarsi dietro i soliti conflitti, le solite invidie, il solito cinismo e livore che non è proprio di una vicinanza. Mi sarei aspettata qualcosa di diverso, e non basta essere madri per avere il diritto di colpire i nemici, anzi le avversarie, della propria figlia, usando il disvalore personale, la disistima, il fango. No, non va bene. Per cambiare le cose non bisogna aderire a un sistema e sgomitarci dentro, occorre semplicemente anteporne un altro.