Trent’anni di antipoliticaI due No di Letta ai referendum sulla giustizia sono un segno di resa, di nuovo

Sui quattro quesiti ammessi, il Partito democratico si esprimerà contro due, quello che chiede l’abolizione della Severino e quello sulle limitazioni della custodia cautelare. Sono misure che, sostiene il segretario, si possono superare con le riforme parlamentari. Ma il segnale politico esprime una profonda sensibilità alle istanze dei giudici

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Il Partito democratico vuole chiudere “la guerra dei trent’anni” tra magistratura e politica e, per continuare nel parallelo storico, la “pace di Westfalia” avverrà in occasione dei referendum di radicali e Lega per i quali si andrà a votare in primavera. Come avevamo scritto ieri, ecco dunque che Enrico Letta ha schierato la Direzione democratica a favore di due No (sull’abolizione della legge Severino e sulla limitazione delle ragioni per la custodia cautelare: Letta ha parlato di «abrogazione della custodia cautelare» ma si tratta di una limitazione) confidando che la riforma Cartabia ed eventuali suoi sviluppi sia in grado di superare i tre quesiti rimanenti (Consigli giudiziari – si vuole la partecipazione degli avvocati; legge elettorale per il Csm – per scoraggiare le correnti; la separazione delle funzioni).

Nel loro insieme, e peccato che non sia stato ammesso il quesito sulla responsabilità civile, il pacchetto referendario potrebbe tuttora costituire un formidabile segnale di critica di massa alle storture del sistema-giustizia nonché di attacco a certe posizioni privilegiate dei magistrati.

Al di là della concretezza della materia, è innegabile il rilievo politico e simbolico di una consultazione che tuttavia, dopo la tagliola della Corte Costituzionale che ha tolto di mezzo i referendum più “popolari” (eutanasia e cannabis) ha adesso evidenti problemi di quorum. E diciamo pure che la scelta di merito del Pd – nessun Sì – non aiuta la causa dei proponenti. È una scelta politica coerente con la filosofia generale del Nazareno che rifugge dalla contrapposizione o anche solo dall’inasprimento delle tensioni, e nel merito da sempre molto sensibile alle istanze della magistratura.

Al Nazareno si ritiene che con la riforma Cartabia un certo risultato non difforme da quello espresso dai quesiti referendari si possa raggiungere ugualmente, confidando che il Parlamento chiuda il suo lavoro in tempo utile per evitare almeno tre referendum.

Non sfugge tuttavia il punto di fondo richiamato all’inizio: quello che il Pd vuole mandare alla magistratura italiana nella fase più convulsa e criticata della sua storia, è un segnale di pace. Due No: messaggio fin troppo chiaro. Se non è definibile tout court come “il partito dei giudici” tuttavia il partito di Letta non sceglie di condividere le istanze più riformatrici e meno manettare che sono alla base dei due quesiti sui quali il Pd voterà No, quello sulla Severino e quello sulla carcerazione preventiva (sul quale Stefano Ceccanti, pur condividendo l’indicazione del segretario, precisa che «il problema esiste»).

Il problema sorgerebbe se la riforma Cartabia per una ragione o per l’altra dovesse impantanarsi perché in quel caso i dem sarebbero costretti a dire anche dei Sì: ma per ora meglio non pensarci, e puntare alla pace di Westfalia certo non contro la magistratura.

La seconda notizia, sempre a proposito del conflitto fra magistrati e politica, riguarda l’arrivo oggi in Aula al Senato della richiesta di autorizzazione per Matteo Renzi in relazione alla vicenda Open. L’Aula confermerà il parere della giunta che in dicembre sollevò conflitto di attribuzione perché i magistrati di Firenze avevano inserito nel fascicolo dell’inchiesta la chat con Vincenzo Manes del 3-4 giugno 2018 quando Renzi era già senatore e quindi secondo la giunta i magistrati avrebbero dovuto chiedere prima una formale autorizzazione al Senato.

La novità è che oggi i senatori dem voteranno a favore del leader di Italia viva mentre in giunta si astennero. Effetto forse del flop dell’inchiesta fiorentina su Open, la fondazione che quella Procura scambia per un partito venendo bacchettata per la terza volta dalla Cassazione. Renzi parlerà in Aula, e da una posizione di forza. Si attende di sapere ufficialmente come Italia viva voterà ai referendum: sarà una raffica di Sì, a differenza del Pd.

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