Crescita lentaAbbiamo più soldi in tasca, ma siamo comunque i meno ricchi d’Europa

L’Italia è il fanalino di coda delle grandi economie occidentali. Il problema è rappresentato dalle scelte di investimento, che quasi sempre puntano a un mercato immobiliare ormai in crisi

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Durante il 2020, a dispetto della pandemia e del crollo da record del Pil, è stato toccato il record di ricchezza netta nelle tasche delle famiglie italiane. È stata superata la soglia simbolica dei 10mila miliardi di euro. A tanto ammonta la differenza tra la ricchezza lorda (tutte le attività finanziarie e non detenute dagli italiani che corrispondono a poco meno di 11mila miliardi) e le passività, in massima parte debiti che corrispondono a 967 miliardi di euro.

Questo non significa che gli italiani siano ricchi o che siano depositari di patrimoni ingenti capaci di compensare i rovesci dal lato dei redditi e del Pil. Non è così, soprattutto se paragoniamo questi numeri a quelli delle altre grandi economie dell’Occidente. Per realizzare un confronto omogeneo dobbiamo naturalmente misurare quanto vale la ricchezza in proporzione agli abitanti. E quella italiana in realtà risulta essere tra le più basse. Nel 2020 possedevamo 168.100 euro a testa. Possono sembrare tanti, ma sono meno dei 176.200 dei tedeschi, dei 191.700 degli inglesi, dei 195.600 dei francesi e soprattutto dei 341.600 degli americani.

Ancora più eloquente è, in realtà, il trend di questi numeri negli anni. All’inizio del 2000 il patrimonio in mano agli italiani a livello pro-capite era del 50% più alto di quello dei tedeschi.

In particolare, tra il 2008 e il 2009, eravamo i più ricchi di tutti. La ragione era che dopo il fallimento di Lehman Brothers non avevamo particolarmente risentito del crollo del valore di quegli asset invece molto presenti nei portafogli di americani, inglesi, e in parte anche di altri: soprattutto azioni e quote di fondi, per i quali non abbiamo mai nutrito molta passione.

Tra l’altro nel nostro Paese non si era ancora verificato lo scoppio della bolla immobiliare, che altrove era stato parecchio rumoroso.

Dati Istat ed Eurostat, migliaia di euro

Tuttavia ultimamente è stata quella stessa mancanza di passione, che allora contribuì parzialmente a salvarci, a mettere un freno alla crescita successiva della nostra ricchezza.

Al contrario di quanto avvenuto negli altri Paesi il valore delle case, soprattutto di quelle già esistenti, ha vissuto un lungo inverno. Il segno meno davanti ai numeri che indicano le variazioni dei prezzi è durato molto di più che all’estero.

Questo ha pesato molto all’interno di uno Stato in cui la gran parte del patrimonio non è finanziario (6.177mila miliardi su 10.977).

Dati Istat

Per giunta di questi 6.177 miliardi 5.163 sono rappresentati dal valore delle abitazioni. Certo, si tratta di un numero che negli ultimi 10-12 anni è andato a calare, ma rappresenta pur sempre più della metà della ricchezza degli italiani.

Dati Istat

Questa riduzione in ogni caso è sintomo di un cambiamento che, pur nell’immobilismo, caratterizza l’evoluzione dei patrimoni in Italia.
Esso è rappresentato, più che dal lento declino del mattone, dall’emergere di altre destinazioni di investimento.

Alcune di queste formano il patrimonio finanziario. Tra 2010 e 2020, per esempio, le riserve assicurative sono passate da poco più di 707 miliardi a circa 1.186. Tra queste vi sono certamente anche le pensioni integrative. Le azioni sono cresciute da 753,7 miliardi a poco meno di 974. In netto aumento anche le quote di fondi comuni.

Dati Istat

Sono soprattutto questi ultimi, a livello di incremento, che assieme alle riserve assicurative, rispetto a 12 anni fa hanno superato sia l’aumento del reddito disponibile delle famiglie sia la ricchezza netta complessiva.

Nello stesso lasso di tempo è evidente il calo del valore delle abitazioni (del 6,5% tra 2010 e 2020) e l’incremento delle passività rappresentate dai prestiti, ovvero dai debiti. Proprio nel 2020, l’anno di crisi più profonda, essi hanno avuto, come era facile immaginare, una crescita superiore a quella dei redditi e dei patrimoni.

Dati Istat

Anche questo dato è un segno che gli italiani sono in procinto di modernizzarsi e avvicinarsi, se pure in ritardo, alle abitudini dei Paesi più avanzati, dove il mattone ricopre un ruolo non primario nelle scelte di investimento dei risparmi delle famiglie, e dove azioni e fondi hanno un peso decisamente superiore.

Alla fine quello che conta è l’andamento complessivo di tali patrimoni. Al momento questa crescita di importanza degli strumenti finanziari, in Italia, non è andata molto oltre una compensazione della perdita di centralità degli immobili.

Il motivo è semplice: i redditi disponibili sono cresciuti lentamente, molto più lentamente che altrove. Perché, in ultima analisi, l’andamento della ricchezza non può prescindere da quella dei redditi nel lungo periodo, ed essi in massima parte dipendono dai salari, che a loro volta devono seguire la produttività del sistema. E in Italia, lo sappiamo, è stata deludente.

Da qui non si scappa: possono subentrare periodi in cui si sviluppa una bolla, e quella del mattone è la più tipica, ma conosciamo bene anche la bolla inerente al debito pubblico, che alla fine è inevitabile: qualcuno vivrà di rendita tutta la vita, tanti ci riusciranno per qualche tempo, ma è irrealistico che tutti possano farlo per sempre.

In sostanza non possiamo più giustificare l’alto debito pubblico riferendoci ai patrimoni degli italiani. A dire il vero gli economisti ci dicono che non avremmo potuto farlo neanche 20 anni fa, perché si tratta di grandezze che c’entrano poco le une con le altre. Ma se vogliamo che la ricchezza netta torni a crescere come negli altri Paesi, dobbiamo fare in modo che ad aumentare siano innanzitutto i redditi.

Se i patrimoni saranno di nuovo così grandi e se succederà grazie ai redditi, Pil e investimenti in crescita, allora ci renderemo conto che non avremo bisogno di sfruttare risparmi e immobili come attenuante per i nostri problemi economici, perché ne avremo molti meno di ora.

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