Percorso condivisoCom’è andato il summit tra Ue e Unione africana

Da Burxelles arriveranno 150 miliardi di euro di investimenti, ma non la tanto attesa apertura sui brevetti per i vaccini anti-Covid. Il futuro dei due continenti è sempre più intrecciato

AP/Lapresse

Una visione comune per il 2030 era l’obiettivo del sesto incontro tra i rappresentanti dell’Unione europea e quelli dell’Unione africana, che hanno mostrato accordo (almeno a parole) su molti temi, dallo sviluppo economico alla politica di sicurezza. Non però su uno dei temi principali del summit, la sospensione dei brevetti per i vaccini anti-Covid. Su questo fronte le posizioni restano distanti e il massimo dell’intesa raggiunta è l’impegno per i due organismi a ritornare sulla questione in primavera.

Vaccini sì, brevetti no
L’accesso libero ai brevetti vaccinali era una delle richieste più pressanti da parte dei Paesi africani (40 i capi di Stato o di governo presenti a Bruxelles e 51 le delegazioni in totale dal continente). Uno dei suoi esponenti, il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, in un’intervista all’Economist aveva persino definito «apartheid vaccinale» la decisione di Paesi più ricchi mantenere in vigore le regole dell’accordo Trips, il trattato internazionale che norma i diritti di proprietà intellettuale.

A questa posizione si oppone quella europea, sempre sostenuta dalla Commissione anche se contestata da parte del Parlamento comunitario: i brevetti devono restare coperti per tutelare le case farmaceutiche che hanno investito nella ricerca necessaria a produrre i vaccini. La strategia migliore per aiutare gli Stati meno floridi del mondo a vaccinare la propria popolazione sarebbe invece fornire loro direttamente le dosi o sostenere i centri di produzione in loco.

«Abbiamo lo stesso obiettivo, ma due modi diversi per raggiungerlo. Ci deve essere un ponte tra questi due modi», ha detto Ursula von der Leyen nella conferenza stampa finale dell’evento, in relazione alla necessità di potenziare la vaccinazione anti-Covid in Africa, dove circa il 90% della popolazione non ha ricevuto le dosi necessarie. La soluzione di compromesso su cui si sono accordati europei e africani è un rinvio alla primavera: Il collegio dei commissari Ue e quello della Commissione africana si incontreranno a Bruxelles per parlare della questione. Allora, la «discussione positiva» citata da von der Leyen dovrà trasformarsi in un accordo scritto che accontenti entrambe le parti.

Nel frattempo, l’Europa continuerà a rifornire di vaccini l’Africa: 450 milioni di dosi arriveranno entro metà del 2022, oltre a 425 milioni di euro per le strutture di stoccaggio, distribuzione e inoculazione dei sieri e per l’addestramento del personale medico specializzato. Finora, si legge nel comunicato finale del summit, l’Ue e i suoi Stati membri hanno contribuito con più di tre miliardi di dollari alla vaccinazione in Africa, tramite il programma Covax.

Per molti questa politica di sostegno non consente all’Africa di camminare con le proprie gambe sulla strada della vaccinazione. «Il rifiuto dei leader europei è un insulto per milioni di persone che nei Paesi più poveri stanno perdendo i propri cari», ha commentato ad esempio Sara Albiani di Oxfam Italia, in linea con molte associazioni non governative a livello globale.

Investimenti e interventi
Oltre alla situazione pandemica, la riunione ha affrontato diversi punti di cooperazione, nell’ottica di «rinnovare la partnership per la solidarietà, la sicurezza, la pace, la sostenibilità e lo sviluppo economico». Su quest’ultimo aspetto, l’Unione europea annuncia un impegno importante: all’Africa saranno destinati almeno 150 miliardi di euro entro il 2030, provenienti dall’iniziativa Global Gateway, il piano con cui l’Unione europea punta a finanziare la costruzione di infrastrutture nei Paesi in via di sviluppo, anche per contrastare l’influenza cinese.

Il continente africano ne beneficerà con la realizzazione di reti di trasporto dell’energia, contributi alla transizione ecologica e digitale della propria economia e aiuti all’industrializzazione. L’intero pacchetto sarà poi integrato con capitoli di spesa specifici a sostegno dei sistemi sanitari e di istruzione. Dai Paesi europei, tra l’altro, arrivano già 13 milioni di dollari per la liquidità degli Stati più colpiti dalla pandemia, attraverso una linea di credito istituita dal Fondo monetario internazionale chiamata Special Drawing Rights.

Ma se i contributi finanziari non sono mai mancati, il problema per alcuni è lo squilibrio che investe anche gli accordi commerciali attualmente in vigore. Il presidente nigeriano Muhammadu Buhari, ad esempio, ha chiesto un «nuovo patto economico basato su una collaborazione alla pari». La condizione di uguaglianza fra i due partner è in effetti specificata all’inizio del comunicato finale, come una delle basi del presente accordo, anche se «gli europei possono permettersi di pensare a problemi a lungo termine, molti africani no», come ha spiegato l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri Josep Borrell in un’audizione al Parlamento europeo prima del summit.

Una questione aperta nell’immediato è sicuramente quella della stabilità e della pace nel continente. Il principio di proporre «soluzioni africane a problemi africani», ribadito nel accordo, resta di difficile interpretazione.

L’esempio più recente riguarda il Mali, sospeso dall’Unione africana dopo l’ultimo colpo di Stato militare nella primavera del 2021. Sul suo territorio sono attualmente operative due missioni di addestramento europee e un contingente militare francese impegnato contro il radicalismo islamico, che verrà ritirato nei prossimi mesi.

La decisione del presidente Emmanuel Macron risponde certo a un riposizionamento di carattere geopolitico su uno scacchiere internazionale complicato, ma anche ai rapporti sempre più complicati con la giunta militare che detiene il potere a Bamako: il portavoce del governo di transizione, il colonnello Abdoulaye Maiga ha appena richiesto un ritiro «senza ulteriori ritardi».

Sugli altri argomenti dell’incontro, la cooperazione resta stretta: africani ed europei mireranno a prevenire la migrazione irregolare, rafforzare la cooperazione contro il traffico di esseri umani, sostenere una gestione rafforzata delle frontiere e a ottenere miglioramenti effettivi in materia di rimpatrio, riammissione e reintegrazione.

Il documento evidenzia la «promozione del rimpatrio volontario» e riflette una strategia su cui contano molti Paesi europei: quella di intensificare gli accordi bilaterali con i governi africani per limitare i flussi migratori dal continente. Per contro, l’Ue accetta di continuare la ricerca di soluzioni durature per i richiedenti asilo, i rifugiati e i migranti vulnerabili e di investire nell’educazione dei giovani africani, per far fronte alla fuga di risorse umane dal continente.

Un capitolo importante dell’intesa riguarda anche il percorso dell’Africa verso la neutralità climatica che sarà inevitabilmente ancora più difficile di quello europeo. La transizione energetica sarà cruciale per l’industrializzazione del continente, che dovrà fare perno sull’ampia disponibilità di risorse naturali. A dettare la strada in questo contesto sarà la prossima Conferenza delle parti (Cop), prevista a novembre a Sharm El-Sheikh, in Egitto.

Con una popolazione destinata a raddoppiare entro il 2050, ha spiegato Borrell, il futuro del continente africano è indissolubilmente legato a quello dell’Unione europea. Che per questo vuole essere il suo primo e più affidabile alleato nel mondo: «Quando lavoriamo per l’Africa, lavoriamo anche per noi stessi».