Silvio Berlusconi è prigioniero di una contraddizione. O di un lucido progetto, per chi crede ancora nella sua lucidità politica. Adesso può temporeggiare, far finta di avere tutto sotto controllo ma a un certo punto dovrà tirare una riga e mostrare il suo vero volto politico e questo momento si avvicina a grandi falcate.
Ci separa solo un anno dalle elezioni politiche e detto così sembra un’eternità, un appuntamento politico quasi evanescente se rimaniamo immersi, come purtroppo siamo, nei fumi tossici della guerra in Ucraina. Eppure la corrente elettrica della politica rimane ad alta tensione destinata ad aumentare.
Le vicende interne alla maggioranza, le tensioni tra governo e Parlamento sono già sotto gli occhi di tutti, tra maggiori spese militari, bollette e benzina alle stelle, provvedimenti sulla concorrenza e aggiornamento del catasto. Poi c’è la prospettiva che molto presto, con le amministrative di primavera, vedrà i partiti salire su barricate opposte, ma il vero sisma arriverà dopo l’estate.
La guerra, se malauguratamente non dovesse finire prima, sarebbe una camicia di forza per i protagonisti. Se invece dovesse terminare, allora verrebbe messo in moto il turbo dello scontro. Senza una nuova legge elettorale proporzionale, le coalizioni saranno costrette a fare veramente i conti in casa. A oggi l’unica colazione rimasta sulla carta è quella di centrodestra visto che ancora non si capisce cosa sarà il campo largo attorno al Pd e l’area centrista e/o liberal-democratica di Carlo Calenda.
Ecco, il focus sul centrodestra al quale i sondaggi ancora oggi (chissà tra un anno!) attribuiscono una maggioranza sia alla Camera sia al Senato. Ogni giorno da quella parte ci sono novità non secondarie e non si tratta solo della crescita di Giorgia Meloni ai danni di Matteo Salvini. Crescita che potrebbe fermarsi, con Fratell d’Italia non in grado di non raccogliere più i consensi che sta perdendo la Lega. Come abbiamo già scritto su Linkiesta.
E qui entra in campo il Cavaliere non più rampante, fresco di un matrimonio simbolico con la giovane fidanzata Marta Fascina a Villa Gernetto. E chi è spuntato all’ultimo minuto in quel di Lesmo in Brianza? Matteo Salvini: come amico, si sono affrettati a precisare gli organizzatori dell’evento, non come alleato.
Ma da quando in qua Silvio e Matteo sono amici? Lo erano Berlusconi e Umberto Bossi attovagliati ogni lunedì ad Arcore. Loro due invece proprio amici, da giustificare la presenza del leghista alla festa, non lo sono.
A essere amici invece sono Salvini e la senatrice Licia Ronzulli, la grande organizzatrice del party, l’ombra politica del Cavaliere, presente a tutti i vertici che contano, il filtro più filtrante tra il capo e la truppa. È lei che il leader leghista chiama innanzitutto per risolvere i problemi, per lamentarsi di qualsiasi cosa, per ammorbidire Zio Silvio. Quindi non è difficile credere alla voce che salta da una lingua biforcuta all’altra del centrodestra: a volere Matteo è stata Licia. A convincere il padrone di casa a non invitare Giorgia Meloni e i tre ministri azzurri è sempre lei.
Ora, vero o falso che sia, meglio rimanere ai fatti e alle parole sentite. C’è molta politica infatti nella presenza di Salvini al quasi matrimonio. È stato proprio lo sposino a svelare le carte. «Lui è l’unico vero leader che c’è in Italia», ha detto Mr. Mediaset agli ospiti, stringendo per il braccio il capo del Carroccio. Accanto c’erano la Fascina di bianco vestita come se fosse veramente una sposa, e Fedele Confalonieri, impassibile ma con il cuore padano a destra.
Ma accanto c’era pure Gianni Letta, il più anti leghista dei berluscones, il vero capo della fronda interna. È stato Gianni Letta a indicare al Quirinale i ministri: Berlusconi si è visto comunicare i nomi qualche ora prima della formazione del governo. Quei tre ministri che, guarda caso, non sono stati invitati a Villa Gernetto e che sono con un piede dentro e uno fuori Forza Italia.
Prendiamo Renato Brunetta. In un’intervista a Repubblica alcuni mesi fa ha parlato di una nuova colazione a sostegno di Draghi, di scomposizione delle attuali forze politiche e di un polo socialista, popolare e liberale che dialoghi con il Partito democratico: fine del centrodestra a trazione sovranista o leghista. Per il ministro della Pubblica amministrazione è necessaria un’alleanza europeista perché con i sovranisti si va a sbattere. Mariastella Gelmini è totalmente d’accordo ma non si sbilancia come Brunetta. Anche Mara Carfagna, altra esclusa dal gran ballo berlusconiano, è ancora più coperta nonostante sia la più corteggiata politicamente da tutto ciò che si muove tra i due poli di destra e di sinistra.
Anche nel territorio ci sono importanti movimenti che vanno in questa direzione scissionista, in Sicilia innanzitutto: Gianfranco Miccichè vorrebbe già anticipare sia alle comunali di Palermo che alle regionali siciliane, alleanze trasversali con Italia Viva e altre liste locali che voglio affrancarsi da Lega e FdI. Nell’isola, tra l’altro, la distanza tra Salvini e Meloni è ancora più siderale.
E veniamo a Giorgia Meloni. Non ha detto una parola per il mancato invito. Ha parlato il suo più stretto collaboratore, oltre che marito della sorella, Francesco Lollobrigida, per dire che il leader del centrodestra lo decidono gli elettori: chi avrà più voti. È questa la regola aurea stabilita dallo stesso Berlusconi però ai tempi in cui Forza Italia era di gran lunga il primo partito della colazione e anche rispetto a tutti gli altri concorrenti. Ora lo spartito è cambiato e il Cavaliere ha più feeling con Matteo rispetto alla spigolosa Giorgia, che ha il vizio politico di essere coerentemente di destra e d’opposizione, allergica al trasformismo camaleonte.
Allora, cosa può succedere? C’è un ragionamento che si fa largo dentro Fratelli d’Italia. Più che altro un sospetto, atroce, che quella festa e quegli invitati fanno intravedere in filigrana. In sostanza alle Politiche del 2023 il partito di Meloni potrebbe trovarsi di fronte e contro un listone FI-Lega con Salvini unico vero leader e federatore di questo pezzo di centrodestra.
Fratelli d’Italia verrebbe esclusa da questo progetto che magari porterebbe in dote una nuova legge elettorale proporzionale. Con il risultato di ritrovarsi nel prossimo Parlamento con un grande gruppo che decide quale maggioranza, quale governo e quale presidente del Consiglio.
Per Berlusconi sarebbe l’ideale continuum di Draghi: i suoi avversari interni non potrebbero criticarlo, quelli esterni neanche. Pd e i poli centristi o liberal-democratici neutralizzati. A farne le spese anche Meloni e coloro che vorrebbero maggioranze più omogenee e trasparenti. Salvini non ne avrebbe convenienza ma anche lui ormai si fa concavo e convesso a seconda del giro di giostra.
È un castello di carta? Una favola politica come quella festa a Villa Gernetto?