La novità politica di queste ore è l’incubazione del Partito Neutralista Italiano (d’ora in poi, Pni) composto da M5s e LeU, più altri gruppi e singoli (Alternativa, Verdi). Ieri si è trovato il modo di evitare il voto al Senato sull’ordine del giorno favorevole all’aumento delle spese militari presentato furbescamente da Fratelli d’Italia che, essendo simile a quello firmato dalla maggioranza alla Camera due settimane fa, verrà fatto proprio dal governo e dunque non verrà votato. Ma il punto politico è che si è nei fatti determinato un asse M5s-LeU, un’alleanza che anche se non si paleserà in Parlamento pure è una novità di un certo rilievo, un potenziale prolungamento politico del pacifismo neutralista che si è manifestato in queste settimane.
In due settimane il M5s e LeU hanno cambiato opinione, dato che a Montecitorio votarono l’odg contro cui al Senato avrebbe voluto votare contro: esempio macroscopico dei problemi che può recare il bicameralismo perfetto. L’oggetto del contendere come si sa è il graduale aumento delle spese militari fino al 2% del Pil, obiettivo concordato in sede Nato otto anni fa e ribadito in questi giorni da Mario Draghi.
Come spesso accade, si tratta di una bandierina dato che neppure Giuseppe Conte è sic et simpliciter contro le spese militari non essendo piuttosto d’accordo sulla sua tempistica e paventando il rischio di indebolire altre poste di bilancio come quelle sulle spese sociali. Se ne parlerà più avanti: forse nemmeno nel Def ma nella legge di Bilancio, In ogni caso il governo non sarebbe caduto certo per un ordine del giorno che, come si dice, sono come i sigari: non si negano a nessuno.
Piuttosto la questione politicamente interessante riguarda il Pni. Conte, confermato presidente del Movimento con un’affluenza sotto il 50%, il che conferma che si tratta di un leader debole di un partito debole, ha intravisto la possibilità di risalire la china piantando una classica bandierina dei pacifisti in versione neutralista, quelli che sono con l’Ucraina ma bisogna capire le ragioni di Putin, ci vuole una trattativa e non le armi, esistono le colpe dell’Occidente e dell’America eccetera eccetera. Alcune di queste sono opinioni che si vanno affermando a livello di massa e che probabilmente crescono di giorno in giorno di pari passo con l’estenuante prolungarsi del conflitto: ed ecco che Conte capisce che bisogna dare una forma politica a questo pacifismo oggettivamente neutralista anche e soprattutto in opposizione non tanto a Draghi ma soprattutto a Luigi Di Maio, il quale dovrebbe vivere con imbarazzo il suo ruolo di ministro degli Esteri in collisione con il suo capo politico.
Quanto a LeU (ma diciamo meglio: Articolo 1), è chiaro che non intende fare scavalcare a sinistra da Conte e non perdere la connessione sentimentale con i pacifisti neutralisti della manifestazione del 5 marzo a San Giovanni, quella sulla quale c’era il cappello di Maurizio Landini. La cosa sorprendente è che il voto contro l’aumento delle spese militari contrasta con le più recenti affermazioni di Pier Luigi Bersani: «Nel tragico, spunta sempre il ridicolo. Si fa polemica su un ordine del giorno che sostanzialmente conferma un impegno preso nel 2014 e sempre disatteso» (che poi disatteso mica vero, le spese militari sono sempre cresciute anche con i due governi Conte-ndr).
Ovviamente, ci si potrà arrampicare sugli specchi ma è evidente che il capo carismatico di Articolo Uno è stato “superato a sinistra” dall’avvocato del populismo e forse ha dovuto anche abbassare le penne davanti alle critiche dal basso al precedente voto dato alla Camera. Roberto Speranza, importante ministro di un governo sulle spese militari sfiduciati dal suo partito, che dice?
Siamo dunque di fronte ad una evidente presa di distanza di Articolo Uno (che in questo frangente si riavvicina a Sinistra italiana di Nicola Fratoianni) dal Pd di Letta e Guerini schierati senza tentennamenti per il rispetto degli accordi in sede Nato. Contro il Pd atlantista – e la linea del presidente del Consiglio, che il Fatto chiama in stile Autonomia Operaia “Mario l’amerikano” – si aprono le porte per un possibile afflusso di consensi, pensa il Pni, ossigeno per due partiti in misura diversa in difficoltà: la questione dell’aumento delle spese militari sventa così la ciambella di salvataggio per una politica identitaria in grado di parlare a tutta un’area di sinistra anche non estremista che nutre seri dubbi sulla linea di Letta e del governo, oltre al mare magnum dell’astensionismo ex di sinistra-sinistra che su una linea dura anti-Nato potrebbe tornare a casa.
Sono discorsi che hanno un senso ma anche impregnati di cinismo e di miopia: perché è chiaro che uno strappo sostanziale sulla politica internazionale e di difesa non sarebbe senza conseguenze per le prossime alleanze elettorali. Il Pni oggi sembra un’occasione, domani potrebbe essere una trappola.