Sembra di essere in una classica del ciclismo, una Milano-Sanremo del calcio. Una modesta fuga che ha snocciolato il campionato, in cui i tre al comando si alternano a tirare per mantenere lontani gli inseguitori sapendo che mancano ancora tanti chilometri al traguardo e dal plotone si è staccato un corridore che tenta di raggiungerli.
È che fanno tanta fatica i tre davanti, si danno il cambio ma non riescono ad andare forte e soprattutto nessuno di loro ha la forza per togliersi di dosso gli altri due e compiere l’impresa solitaria. Avete capito che si tratta di una anche banale metafora per cercare di capire cosa sta succedendo in serie A, e che non si tratta di spingere una bicicletta ma di tirare calci al pallone. Un pallone refrattario che come le palline magiche dei bambini rimbalza bizzarro, in modo casuale. Là dove ti aspetti che vada in un senso invece va nell’altro.
Sarebbe anche un bel campionato, tanto incerto e mutevole, se solo le squadre là davanti che tirano in fuga avessero continuità e non cadessero in trappole autocostruite. Adesso, momentaneamente, ci sono Napoli e Milan, ma prima c’era l’Inter e crediamo che andrà avanti così.
Perché? I fattori sono tanti, c’è stata la variante Covid, ci sono stati molti infortuni, un calendario fitto di impegni ma ognuna delle tre squadre ha cadute di prestazioni e problemi congeniti.
Vediamoli: il Napoli senza Osimeh è parecchio spuntato, è come l’Inter senza Lukaku. Ha meno imprevedibilità e velocità. Ora però lui è tornato e se non fosse che Spalletti primo non arriva mai sarebbe la candidata principe per lo scudetto. Le seconde linee riproducono fedelmente i titolari, per ogni ruolo c’è un doppione che gioca nella stessa posizione e fa le stesse cose, i rincalzi valgono appena un filo meno e la difesa ha in Rrahmani, in crescita esponenziale, e Koulibaly un bel cernierone coriaceo. Che è servito poco contro lo splendido Barcellona di Xavi, la differenza era stratosferica per tecnica, schemi, sicurezza e singoli giocatori a confermare per l’ennesima volta che il gap verso certe squadre europee è clamoroso.
La sfida con il Milan sarà decisiva: dovesse vincere il Napoli i punti in più e la gasatura psicologica potrebbero spezzare il trio della classifica, lanciare l’assalto finale e sognare, facendo venire un insostenibile groppo in gola a Insigne che cambierà orizzonte e sentirà il freddo fuori e dentro. Solo che il Milan non ci starà a questa opzione. La costanza di rendimento non è il suo forte, anche se è fuori dalle coppe. Sono i singoli giocatori che non hanno costanza. Tutti altalenanti, una domenica fanno faville, la gara dopo scompaiono. Ha un bel da fare Pioli a cambiare, sostituire in corso di partita, sperando di trovare la giornata fortunata di Giroud o Leao o altri. Ci sono poche solidità: Tonali, Maignan prima della papera, Calabria. Messiah è stata scoperta fortunata ma anche lui va su e giù come Theo Hernandez che sarebbe un crac se volesse. E Ibrahimovic sente i suoi quarant’anni in ogni giuntura, legamento e muscolo. Nel caso fosse il Milan a battere il Napoli basterebbe l’adrenalina e la spinta psicologica dell’entusiasmo per arrivare fino in fondo?
Per l’Inter il discorso è proprio un altro. Stremata da un mese e mezzo di fuoco di partite importantissime, sta pagando la bruciante sconfitta con il Liverpool. Immeritata si direbbe, in realtà inevitabile quando non si fa gol. Elementare. Lautaro non è più implacabile marcatore, al contrario un giocatore spaesato dal fatto che non è mai titolare fisso da quando le lagne di Sanchez hanno spezzato il cuore dell’allenatore. Non so quanto Inzaghi sia un bravo motivatore almeno quanto sia capace negli schemi di un gioco brillante, adesso ci vorrebbe un Conte, un Mourinho dei tempi belli a risollevare una squadra stanca di corpo e di testa. De Vrij, Dzeko, Sanchez, tutta la banda dei parametri zero con cui i dirigenti hanno fatto capolavori sembrano treni perennemente in ritardo che arrivano sbuffando in stazione. Campioni, è vero, ma affannati. La velocità era l’arma principe, la tecnica anche per schemi avvolgenti che esaltano il calcio. Ma se non si è lucidi viene fuori un papocchio di errori. Una citazione a parte tra i vecchi merita Handanovic, e non in senso positivo.
Quando l’Inter non prendeva gol il merito era dei tre difensori, implacabili per marcatura e posizione. Il portiere nerazzurro non doveva fare molti interventi. Quando però è servito che tornasse il pararigori, le lacune sono diventate imbarazzanti. È il capitano da due anni al posto dello sciamannato Icardi, ormai nel dimenticatoio, ha imparato a impostare benino con i piedi ma la sua stazza lo zavorra come mai prima. Reagisce poco ai tiri da fuori, non esce mai e quando lo fa sono dolori, è incerto e a tratti goffo. Un portiere in una squadra che ha delle ambizioni deve essere decisivo, lui ormai lo è più in negativo. Non si discute la serietà dell’uomo e personale ma quella di un portiere in là con gli anni sì. La pesantezza fisica di Handanovic potrebbe fare la differenza nelle giornate finali, da lui ormai non ci si aspetta che faccia miracoli, ma parare tiri possibili sì. Si spera nello scontro con il Bologna di recupero, perché recupero di classifica sia.
E veniamo a chi insegue la fuga delle tre di testa. La Juventus ha preso il largo dal gruppone della nostra Milano-Sanremo. Ha cambiato rapporto perché ha comprato Vlahovic. Senza se e senza ma. Prima non segnava nessuno neanche con le spinte, né Dybala, troppo spesso infortunato, né Morata sono classici centravanti. Ci voleva uno spaccatutto, così è arrivata la migliore punta in circolazione, giovane, veloce, prestante che fa gol in ogni modo. Fa paura alle difese perché le difese devono avere paura di lui. E allora cambia tutto.
Allegri aveva una squadra piena di debolezze, Rabiot e Ramsey potevano essere spediti al Tottenham di Conte al pari di Kulusevski e Bentancur o da qualsiasi altra parte. Ecco adesso ci si è dati una bella sistemata, peccato che Chiesa non ci sia, ma va da sé che la Juve ha trovato ciò che le mancava e ha preso un campione. Così cambiate le carte in tavola la corsa sulle prime si è fatta più accessibile. Non che tutto sia risolto, i bianconeri non giocano benissimo, per usare un eufemismo, ma ha una solidità storica ritrovata. L’Inter è a cinque punti e deve giocare proprio contro la Juve a Torino.
I corridori in testa qualche pensiero sul plotone che hanno dietro dovrebbero farsela. L’orgoglio è una gran cosa nello sport. Le squadre che sembravano burro non lo sono più. Le falle sono state tappate, chi meglio e chi meno. Quelle di media classifica hanno radicato schemi e attenzione diventando ostiche per chiunque e i colabrodo che veleggiavano nella parte bassa e bassissima della classifica hanno usato il silicone, spesso il cambio di allenatore. Ora batterle è più complicato perché non vogliono annegare ma salvarsi a ogni costo. Nulla è prevedibile al momento, mai come quest’anno si vive alla giornata in Italia, una dopo l’altra, il caso è caos.