È abbastanza sleale far le pulci alle divagazioni del prof. Alessandro Orsini, quello della misurazione delle sanzioni su base quantitativo-omicidiaria du côté de chez teenagers: tot bimbi sventrati ti revoco lo swift, tot mutilati vai rimandato a settembre, poi se la curva scende sei riammesso a lezione e ti abbuono le donne stuprate. Diciamo che a botte di duemila euro si screditano per conto loro, queste belle trovate.
Invece è più leale occuparsi delle cose che l’accademico dei lettori affranti avrebbe modo di sorvegliare: la cadenza borgatara opposta al cognome illustre, le manine febbrili a lambire le tempie nell’agevolazione dell’arringa alla Monty Python, però seria seria, ispiratissima, con l’occhio celestino inquirente nel vuoto, e poi, a fesseria distribuita, quel suo implicarsi in una calma spossata e malinconica, fino a che gli arriva qualche bestemmia che lo risveglia, tipo che Putin ha preso qualche chilo, e allora un trasalimento gli ricompone i pensieri e gli riarma la gesticolazione che interviene ad adiuvandum nel discorzo – con la zeta – e nei mi dispiasce ma Zalensky è un rettiliano e va isolato.
Se dismettesse quel tono apostolico, quello sguardo impietrito nella ruminazione del prossimo sproposito, quella convinzione rabbiosa e infondata di non essere riconosciuto per quel che è, mentre stia tranquillo che si è capito benissimo, allora la sua dottrina si scaricherebbe finalmente di tutto quell’aggravio e andrebbe in serena decantazione. E tra le cose un po’ buffe che arrivano dal tinello mentre indora il soffritto e scende la pasta ci sarebbe anche quello, il contributo in purezza del prof. Orsini, che va bene per tutta la famiglia.
Ma per ora ci tocca così.