Con l’invasione dell’Ucraina il mondo entra in una nuova era, ha detto di fronte al Bundestag il cancelliere tedesco Olaf Scholz. E allora l’economia europea non può fare eccezione. Il Patto di stabilità e crescita, manuale fiscale della zona euro, rischia di non essere riattivato nemmeno nel 2023, dopo i tre anni di sospensione dovuti alla crisi sanitaria.
A introdurre questa possibilità è stato il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni, durante la presentazione della guida fiscale, un documento redatto dalla Commissione con l’obiettivo di aiutare i 27 Paesi membri a stilare i rispettivi bilanci per l’anno prossimo.
«Avremo bisogno di rivalutare la disattivazione della clausola generale di salvaguardia, sulla base delle previsioni di primavera, che saranno presentate a metà maggio», ha detto Gentiloni. La clausola era stata attivata nel marzo 2020 per fronteggiare la pandemia da Covid19 consentendo agli Stati che adottano la moneta unica di finanziare le misure necessarie aumentando il proprio debito: prevista dal Regolamento 1466/97, consente infatti ai governi nazionali di «allontanarsi temporaneamente dal percorso di aggiustamento verso l’obiettivo di bilancio a medio termine», in caso le condizioni economiche lo richiedano.
In sostanza, finché la clausola è operativa, i Paesi possono «sforare» i parametri di Maastricht, secondo cui il loro disavanzo annuale di bilancio non può superare il 3% del prodotto interno lordo e il loro debito pubblico deve restare sotto il 60% del Pil (o, quando ciò è impossibile, diminuire costantemente verso tale soglia).
Nei tre anni della pandemia, molti Stati hanno approfittato di questa possibilità: secondo i dati Eurostat, il deficit complessivo della zona euro è aumentato dallo 0,5% del 2019 al 6,9% dell’ultima rilevazione, mentre il debito pubblico complessivo si aggira intorno al 100% del Pil dei Paesi che la compongono. In sette hanno un debito superiore non solo al 60% stabilito dal Patto, ma al 100% del proprio prodotto interno lordo: tra questi c’è l’Italia, dove la percentuale è salita dal 134% del 2019 al 155% circa odierno.
Ora questo regime meno restrittivo potrebbe essere esteso per un altro anno, a causa del conflitto in Ucraina, che avrà ripercussioni sui mercati finanziari, sulle catene di approvigionamento e soprattutto sui prezzi dell’energia, cresciuti di più di un terzo e previsti molto elevati per tutto il 2022. Tutto questo avrà «un impatto significativo sulla crescita nell’Ue, pur senza comprometterla completamente», ha spiegato il commissario all’Economia. L’inflazione, già in aumento dall’inizio dell’anno, potrebbe risultare superiore alle attese a causa dell’offerta ridotta, che incide sui prezzi: 5,8% è l’ultima previsione di Eurostat, già ritoccata di uno 0,7% in più rispetto al mese scorso.
Un rallentamento della crescita, del resto, era stato già indicato prima dello scoppio della guerra, nelle previsioni d’inverno della Commissione: poche settimane fa il pronostico per il Pil della zona euro nel 2022 era del 4% , rispetto al 5,3% dell’anno precedente, ma con l’inizio delle ostilità è molto probabile che questa stima vada rivista al ribasso.
Nessuna procedura di infrazione
In tali condizioni, è difficile chiedere ai Paesi di restare allineati ai parametri fiscali più rigidi. Per il momento, comunque, la Commissione ha promesso soltanto che non intraprenderà procedure di infrazione nella prima parte del 2022, rimandando la decisione sulla clausola di salvaguardia.
Da palazzo Berlaymont arrivano invece i principi chiave per la costruzione dei bilanci nazionali: equilibrio nelle politiche fiscali, graduale riduzione del debito attraverso la crescita e gli investimenti sostenibili, soprattutto nella transizione ecologica e digitale e soprattutto per quegli Stati con una quota molto alta. La logica è quella di dare raccomandazioni qualitative piuttosto che limiti stringenti, riporta Bloomberg, citando le parole di un funzionario comunitario anonimo.
Una troppo stretta adesione all’obiettivo di ridurre il debito per rientrare nelle regole del Patto, potrebbe infatti richiedere uno sforzo in grado di minare la crescita di un Paese, secondo l’analisi della Commissione. Un esito possibile, per l’autorevole testata statunitense, è quello di creare «aree di eccezione», cioè capitoli di spesa particolari che non hanno l’obbligo di rientrare nei parametri: potrebbero essere gli investimenti destinati a combattere il cambiamento climatico, ma anche quelli relativi alla difesa, visto l’intenzione manifestata di recente da alcuni Stati di aumentare il proprio budget militare.
Su quest’ultimo tema, anche due Stati considerati tradizionalmente favorevoli alle rigide regole del Patto, come Paesi Bassi e Germania, possono giocare di sponda. La ministra della difesa olandese Kajsa Ollongren ha promesso un piano per aumentare gli stanziamenti militari nell’ambito della Nato, mentre il governo tedesco si è già impegnato a riversare 100 miliardi di euro nell’esercito nazionale. La minaccia di una nuova guerra in Europa ha oscurato al momento le preoccupazioni dei «falchi» fiscali.