Trentasei anni dopoLa memoria di Chornobyl’ e la nuova minaccia nucleare

Mosca gestì l’esplosione del quarto reattore della centrale ucraina nel peggior modo possibile. Gli ucraini ricordano bene cosa è successo quella notte e per questo non avrebbero mai scavato nella Foresta Rossa, come invece hanno fatto i soldati russi durante l’invasione

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Quello che per il mondo in questi giorni è una minaccia nucleare, nei territori ucraini e bielorussi si è sperimentato in prima persona nel 1986. Oggi sono passati 36 anni dalla notte in cui il quarto reattore nucleare della Centrale di Chornobyl’ (la variante ucraina di Chernobyl’) è esploso, provocando la più grande catastrofe nucleare nella storia del pianeta. Forse oggi nessuno se lo ricorderà perché in questi giorni stiamo vivendo una minaccia nucleare nuova.   

L’Europa cerca di evitare il conflitto nucleare, la Russia usa la minaccia come l’arma più potente nelle sue mani per raggiungere i suoi fini, l’Ucraina e la Bielorussia sanno per esperienza quali sono le conseguenze di un’esplosione nucleare. 

Lo storico Serhii Plokhy nel suo libro dedicato a Chornobyl’, da poco uscito anche nella traduzione italiana, evidenzia i fattori che hanno portato alla tragedia, menzionando l’approccio superficiale sovietico nell’organizzare il lavoro, il fattore personale nella catena di commando chiamato not deliver bad news ai propri superiori e la totale assenza di trasparenza tra l’apparato e il popolo nel gestire l’emergenza.

La storia, dopo decenni di ricerche sulla catastrofe, ha saputo dare alcune risposte su cosa è successo quella notte e le settimane seguenti della primavera 1986. Ma ciò che rimane nelle memorie degli ucraini e dei bielorussi sono le immagini ancora vive degli abitanti di quelle zone morti per le radiazioni, senza sapere in quel momento per come e perché, magari tenuti anche per mano fino all’ultimo sospiro, le file lunghe degli autobus diversi giorni dopo l’esplosione con gli sfollati che non hanno mai più rivisto la loro casa, le malattie che presto hanno consumato i passeggeri di quegli autobus, gli abitanti rimasti nelle zone adiacenti e i liquidatori e i costruttori del sarcofago sopra il reattore numero quattro. 

Le memorie rimangono vive nonostante i paesi inghiottiti dalla natura vivace e rimasti presenti sulle mappe solo con le insegne, alcuni forni nelle case che sbucano fuori dal verde, alcuni monumenti ai caduti nella seconda guerra mondiale nei posti che una volta erano il centro del paese. Queste memorie si sono spostate e allargate assieme lla gente sfollata nell’immediato, ma anche con chi lasciava le zone attorno a Chornobyl’, divise in quattro territori rispetto al livello di contagio.

Quella gente ha ricominciato la vita daccapo in città come Sumy, Perejaslav, Kiev, Poltava. Alcuni di loro con l’invasione russa sono stati costretti a rivivere l’esperienza dello sfollamento.  

Per via di queste memorie gli ucraini e i bielorussi non sarebbero mai andati a scavare nella Foresta Rossa né si sarebbero accampati nei paesi abbandonati come Polis’ke, dove hanno trovato in uno scantinato cinque corpi torturati di giovani maschi locali. Sono le memorie che dividono il popolo ucraino, bielorusso e russo e se anche nell’Ucraina indipendente la gestione delle zone di reclusione non possiamo definirla ideale, la memoria dei sopravvissuti, tramandata da generazioni, rimane comunque il documento ideale per capire meglio di qualunque altro, che cos’è la minaccia nucleare sia a livello locale sia su scala mondiale. 

Sono le ennesime lezioni dal passato che non abbiamo imparato fino alla fine, le lezioni che riemergono in questi giorni bui con la sensazione che questa storia l’abbiamo già vissuta, ma il fatto di riviverla conferma che non si è imparato niente o non si è voluto imparare. E dopo la tragedia senza fine di Chornobyl’, la Russia spudoratamente minaccia il mondo, confermando che nella tragedia di Chornobyl’ la sua memoria è diversa da quella degli ucraini. La memoria russa è quella di chi centralmente a Mosca ha gestito la tragedia del reattore nucleare nel peggior modo possibile. Ma è anche quella di chi in tanti altri casi, compreso in quello di questi giorni, non ha mai voluto ammettere le sue responsabilità.