Superare «l’infausta stagione del “populismo giuslavoristico”» che ha prodotto leggi come il decreto dignità. No al «salario minimo di Stato». Sì a un «accordo trilaterale tra governo, sindacato e imprese» per una nuova politica dei redditi. Nelle 35 pagine dell’intervento di apertura del XIX Congresso della Cisl, il segretario generale Luigi Sbarra ribadisce le posizioni del sindacato, rivendicando quella «audacia della responsabilità» che negli ultimi mesi lo ha portato a sostenere posizioni contrastanti rispetto e Cgil e Uil su questioni come il Green Pass, la campagna vaccinale, lo sciopero e anche la guerra in Ucraina.
In attesa dell’intervento del presidente del Consiglio Mario Draghi, previsto oggi, le questioni principali sul tavolo delle relazioni tra governo e sindacati sono salari e pensioni.
Salari che per il segretario della Cisl devono crescere perché «da qui a dicembre il carovita graverà sulle famiglie e sui bilanci per 70-100 miliardi», dice. Servono «interventi forti per sostenere i consumi e proteggere il lavoro che va difeso con strumenti transitori ma non di breve periodo». I suggerimenti che arrivano dalla Cisl sono: elevare ulteriormente il prelievo sugli extra-profitti, confermare in via strutturale il taglio delle accise sui carburanti, incrementare il bonus dei 200 euro, alzare il tetto Isee per gli sgravi in bolletta, definire un nuovo bonus per consentire acquisti di beni di largo consumo in esenzione Iva.
Ma poi occorrerà anche «una nuova politica dei redditi suggellata da un accordo trilaterale tra governo, sindacato e mondo delle imprese», dice il segretario, ricordando lo spirito della concertazione del 1993. In questa intesa, bisognerà mettere mano al fisco con ulteriori sgravi su lavoratori e pensionati: «Oltre a condurre una lotta senza quartiere all’evasione e all’elusione, bisogna abbattere il cuneo fiscale nella parte lavoro per consentire di rilanciare la buona occupazione e i buoni salari». E poi «ridurre le aliquote Irpef».
Ma servirà avere sempre, come faro, i contratti. «Qui la responsabilità comune», ricorda Sbarra, «deve esprimersi nel rinnovo di tutti agli accordi nazionali, pubblici e privati, e trovando soluzioni più eque per il riallineamento dei salari all’inflazione reale». E a questi va affiancata la contrattazione aziendale e territoriale, anche prevedendo forme di welfare aziendale.
Attenzione, però, dice Sbarra: «Non servono automatismi antistorici che innescherebbero una pericolosa spirale». Né «“salari minimi di Stato” che farebbero uscire milioni di persone dalle buone tutele previste dai contratti». Quello di Sbarra è un no netto al salario minimo. «Nessuna commissione di professori, per quanto preparata, può definire meglio delle parti sociali le dinamiche salariali», avverte. «Si smetta di utilizzare l’alibi dei contratti pirata come pretesto per attaccare l’autonomia della contrattazione e delle parti sociali: il problema è evidente e deve essere risolto». Ma senza «entrate a gamba tesa dannose e incoerenti nell’autonomia delle relazioni industriali».
E qui il segretario se la prende anche con quella che definisce «l’infausta stagione di un “populismo giuslavoristico”, che ha prodotto leggi invadenti, che hanno indebolito il mercato del lavoro mortificando le buone flessibilità contrattate». Il riferimento, chiaramente, è al decreto dignità voluto dai Cinque Stelle. Significa, ricorda, «non sovrapporre le categorie della buona flessibilità negoziata e della precarietà. Non tutti i rapporti di lavoro flessibili sono precari. Ad esempio contratti a termine e somministrazione rappresentano spesso buona flessibilità, assicurando piena parità di trattamento».
E poi lancia una frecciatina anche al ministro del Lavoro Andrea Orlando, presente al Congresso, parlando di quei tirocini sui quali è in arrivo una stretta serratissima. «Non coincidono con lo sfruttamento», ha ricordato Sbarra. «Se è necessario rafforzarne i contenuti formativi e perimetrarne meglio l’ambito di utilizzo, questo non implica la rinuncia a un utile strumento di politica attiva e inserimento».
Infine le pensioni, sulle quali il leader della Cisl rilancia la proposta unitaria: un’uscita flessibile a partire dai 41 anni di contributi o 62 anni di età. «Non accetteremo supinamente lo scalone di cinque anni che si produrrà dal 1 gennaio 2023 quando l’età del pensionamento tornerà a 67 anni », dice Sbarra, ricordando che sono ancora utilizzabili i risparmi prodotti dalla legge Fornero e anche le somme non utilizzate stanziate per Quota 100.