L’Osservatorio Sonda è una startup che si occupa di ricerca e consulenza nei settori Food&Beverage e Hospitality che comprende ristorazione commerciale e collettiva, industria alimentare, trend nei consumi. Attraverso la ricerca dei trend e l’analisi dei dati, la sonda fotografa il mercato per come si presenta oggi e traccia una analisi dei possibili scenari futuri.
La prima di una serie di analisi, svolte intervistando un campione di mille persone (479 uomini e 521 dai 25 ai 65 anni su tutto il territorio nazionale) ha evidenziato che l’80% dei consumatori vorrebbe avere maggiori informazioni in termini di filiera sostenibile, ma anche che per un packaging compostabile o un menu ricco di cibi di stagione le persone tendenzialmente sono disposte a corrispondere un prezzo più alto. Non sorprende, leggendo i risultati del monitor condotto con questa interessante prima sonda che comportamenti più o meno virtuosi cambino a seconda della fascia d’età, perché mangiare bene, scegliendo prodotti di qualità, non sempre è sostenibile in termini di prezzo.
I più giovani, se da una parte sono più sensibili al tema e si dichiarano diffidenti rispetto alle reali intenzioni di chi produce o li serve al ristorante, dall’altra si vedono costretti a dare meno importanza alla qualità, perché costa di più.
1. La filiera produttiva nel settore alimentare
Oggi il concetto di filiera è affiancato sempre più spesso al tema della sostenibilità, un elemento su cui molte aziende fanno leva nella costruzione di uno storytelling, con l’obiettivo di attrarre nuovi consumatori e di rassicurare e rinsaldare il legame con i consumatori già fidelizzati.
Basso impatto ambientale dei processi produttivi, coltivazione biologica, pesca rispettosa dell’ecosistema, ridotte emissioni di Co2 e allevamenti non intensivi sono gli elementi che nel complesso i consumatori associano a una filiera sostenibile.
In generale il consumatore brama informazioni, vuole essere educato alla sostenibilità per compiere scelte sempre più consapevoli. E vuole che a parlare siano sia le aziende ma anche voci istituzionali e “superpartes“.
Per il 58% dei consumatori, le informazioni sul concetto di filiera sostenibile sono lacunose, mentre per il 23% sono scarse. L’ 80% dei consumatori si dice interessato a saperne di più, il 31% è molto interessato e il 49% è abbastanza interessato!
2. Il pack sostenibile
Il packaging sostenibile dei prodotti è un elemento a cui i consumatori sono sempre più sensibili, in particolare per coloro che abitano nei centri medio-piccoli, in cui è presente una più capillare e radicata raccolta differenziata. Il contenitore ideale dev’essere riciclabile, compostabile o riutilizzabile, di carta, cartone o vetro, con un impatto sui costi del prodotto finale che non superi l’8%.
3. Pochi ma buoni
Le scelte alimentari dei consumatori sono guidate da motivazioni e credenze più o meno profonde come ad esempio il regime alimentare seguito, il legame con il brand, il prezzo o la reperibilità. Nel quotidiano i consumatori si orientano sempre più verso piatti semplici, composti da pochi prodotti ma di qualità. Stagionalità e italianità delle materie prime agiscono come importanti driver di scelta.
Il tema della minima elaborazione dei prodotti sembra essere rilevante e influire nelle scelte quotidiane, in particolare per la popolazione più adulta (over 35): un dato che potrebbe indicare come con il tempo si presti maggiore attenzione alla salubrità e integrità dei prodotti da consumare abitualmente.
In generale, per una fetta rilevante della popolazione (88%) è importante che i piatti della propria quotidianità siano preparati con pochi ingredienti ma di qualità. La stagionalità (trasversalmente) sembra rivestire un ruolo importante nelle scelte alimentari quotidiane. Sono le donne a essere sono più attente (per il 47% è molto rilevante contro il 41% degli uomini). Rilevanza che invece cala quando si parla di un pubblico under 35 (solo per il 31% è molto importante contro il 50% degli over 35)
Il 53% dei consumatori chiede prodotti italiani, con materie prime coltivate in Italia e il 35% ritiene l’italianità comunque abbastanza importante nelle proprie scelte alimentari.
4. Km zero e Km buono
Il km 0 attira: tutti lo vogliono, ma nessuno lo trova!
Questa breve esclamazione racchiude il senso di quanto osservato: il km 0 agisce in maniera sempre più rilevante come driver di scelta, ma sembra essere più un desiderio che una reale abitudine d’acquisto.
La sua reperibilità è scarsa, in particolare nella Gdo con un impatto negativo sull’alimentazione quotidiana.
Infine, emerge una certa confusione in relazione al concetto di Km buono: pochi ne hanno sentito parlare e in ogni caso immaginano si riferisca a prodotti italiani, la cui filiera è comunque corta e sostenibile, ma la bontà del prodotto in termini di gusto non compare nella loro idea.