Malgrado Aristotele, è ben possibile che tertium datur: oggi Matteo Renzi e Carlo Calenda si vedono forse per un incontro decisivo. Il leader di Italia viva vorrebbe la pratica chiusa giovedì, quando sarà alla Versiliana. Ieri c’era molto ottimismo per la nascita di quel Terzo polo pensato per offrire un’offerta politica nuova a tutti gli scontenti della coppia destra sovranista-sinistra tradizionale, un grimaldello per scardinare un bipolarismo un po’ troppo fermo agli anni Novanta, quando Renzi e Calenda erano ragazzini e soprattutto l’Italia era un’altra.
I due leader non hanno fatto annunci perché c’è ancora da lavorare, non essendo nemmeno chiaro se Azione dovrà presentare le quasi 60mila firme o se ne sarà esentata (c’è un parere del Parlamento Europeo in questo senso, ma decide il Viminale) e finché la cosa non sarà risolta in un senso o nell’altro è impossibile dire se si potrà fare una lista unica, come vorrebbe Renzi, o due, come preferirebbe Calenda.
Il leader di Italia viva è timidamente fiducioso («Sto dando il sangue», ha detto a un amico), i due vorrebbero evitare occasioni pubbliche, limitandosi a dare l’annuncio, se ci sarà. Di certo è una scommessa ardua, molto difficile e senz’appello: battersi contro il mondo intero non è una passeggiata. Ma la novità ci sarebbe tutta. Non scontata, data la risaputa autoreferenzialità dei due leader, i quali potrebbero fare entrambi un passo indietro nella guida di una campagna elettorale che, anche per la sua brevità, sarà la più mediatica mai vista. E dunque, dietro le quinte, si parla di una frontrunner che dovrebbe avere il volto di Mara Carfagna, la ministra per il Sud recentemente uscita da Forza Italia per approdare ad Azione e dunque emblema di un preciso disegno politico, quello di scongelare gli elettori non sovranisti di Forza Italia dal legame con il partito di un Silvio Berlusconi ormai totalmente sdraiato sulle posizioni della destra egemonizzata da Giorgia Meloni e Matteo Salvini, il duo antieuropeo pericolosamente attratto dalle politiche reazionarie di Viktor Orbán: altro che partito popolare europeo.
L’obiettivo strategico che Renzi e Calenda condividono è esattamente questo: togliere voti a questa destra. Per portarli altrove, in una nuova “zona” del quadro politico ispirata innanzitutto dai metodi e dai contenuti del governo di Mario Draghi, che loro rivorrebbero a palazzo Chigi, ben distinta dall’offerta del cartello della sinistra formatosi attorno al Pd ma non certo equidistante tra i due poli.
Se l’operazione riuscisse, il Terzo Polo sarebbe una spina nel fianco di Berlusconi e dunque della destra: in teoria, non si vede perché non potrebbe sottrarle quei voti necessari per vincere in certi collegi uninominali in bilico: e solo per questo il Pd dovrebbe fare il tifo per il nuovo soggetto riformista, anche se ovviamente prevale ancora in queste ore tutto il livore per il clamoroso dietrofront di Calenda che ha stracciato l’accordo già concluso con Letta. Ma ormai è storia vecchia, buona per le polemiche sui social. Il Pd ha capito che deve fare tutto da sé (i suoi alleati non portano esattamente grandi masse di elettori) e punta ad un risultato che oggi sembra incredibile ma forse è più alla portata di quanti non sembri: il 30%, primo partito, davanti alla Meloni.
Gli resterebbe poi da costruire in Parlamento un asse proprio con il Terzo Polo, possibile ago della bilancia se il risultato del 25 settembre dovesse essere in equilibrio. Calenda e Renzi lavorano insieme, e già questa è una novità.