Ma che fine ha fatto il Capitano? A parte un paio di uscite così così, in questa campagna elettorale di Matteo Salvini non v’è gran traccia, come se la fine fosse già scritta: la Lega sta a fatica sul pelo dell’acqua prima di affondare nel gorgo agitato da Giorgia Meloni che la ingoierà come la Balena con Giona. Ed è probabile, quasi certo, che finirà così, con la cannibalizzazione dei leghisti da parte dei Fratelli. D’altronde da tempo i sondaggi segnalano che per effetto del noto principio dei vasi comunicanti più lei va su più lui va giù, come la pubblicità di Nino Manfredi di un caffé.
È probabile che Salvini, uno che di campagne elettorali ne ha fatte sin da ragazzino, stia annusando un’aria non esattamente trionfale nemmeno al Nord, nel cuore produttivo del Paese dove non sono pochi gli imprenditori che, al di là delle opinioni politiche, si chiedono perché il capo leghista abbia ordito con l’avvocato Conte il disarcionamento di Mario Draghi, l’unico italiano che può dire all’Europa cosa fare e cosa non fare.
Ecco perché le litanie salviniane contro l’aumento dei prezzi e la perentorietà della richiesta al governo di fare qualcosa per far fronte alla crescita delle bollette perde molta forza: hai visto che hai fatto facendo cadere il governo? Ovviamente lui non parla di politica in senso stretto: intorno a quel «Credo» non c’è niente.
Se n’è uscito con un improvvido elogio di Viktor Orbàn sulla famiglia con il chiaro intento di far concorrenza a Giorgia, una roba di cui al Paese reale non importa nulla – sgambetti tra presunti alleati – e con un’inutile polemica con Carlo Calenda sulle mucche.
Con Giorgia c’è perfetta sintonia invece sulla totale ignoranza dei problemi che si stanno affacciando sul nostro Paese rispetto ai quali scappano: il rigassificatore a Piombino? Meglio di no, hai visto mai dovessimo perdere quel Comune, è la linea della Meloni, e lui dietro a scodinzolare su una posizione che oggettivamente mette in difficoltà l’Italia e favorisce Putin.
Eppure la Lega è tuttora nel governo ma è contro il governo. E via così. Ed è facilmente prevedibile che se davvero – il che non è affatto scontato – che se la leader dell’estrema destra dovesse prendere palazzo Chigi anche grazie ai voti rubati all’ex ministro dell’Interno, quest’ultimo – o chi nel frattempo nella Lega gli avrà fatto le scarpe – si vendicherà unendo le sue forze a quelle residue del vecchio Cavaliere per un guerriglia interna contro la presidente del Consiglio di Fratelli d’Italia che al confronto le liti tra comari del pentapartito anni Ottanta è uno scherzo.
Si va dunque verso un rimescolamento di carte interno alla destra, ove la giovane Meloni approfitterà naturaliter dell’eclissi storica di Forza Italia e del crescente brancolamento politico di Salvini, il cui partito, dal 26 settembre, lavorerà per nuove idee e un nuovo leader – il quarto dopo Umberto Bossi, Roberto Maroni e appunto Salvini – e la caduta del partito più vecchio d’Italia sarà uno dei fatti politici più importanti dei futuro del quadro politico. Se la destra riuscirà a vincere, starà già preparando la sua resa.